Il blitz all’albergo sul lago di Braies per liberare Kokorin
CADORE. Nelle ultime settimane di guerra ben 139 ostaggi di 17 diverse nazionalità europee, provenienti da vari lager europei e destinati a fungere da merce di scambio nelle trattative con gli americani, vennero dai nazisti prima concentrati nel campo di Dachau e infine trasferiti, il 28 aprile 1945 all’hotel “Lago di Braies” in Val Pusteria.
Del gruppo facevano parte anche la figlia del diplomatico Ulrich von Hassell, Hjalmar Shacht, già ministro dell'economia del Reich, l'industriale Fritz von Tyssen, Leon Blum, l’ex cancelliere austriaco Schuschnigg, il generale Sante Garibaldi, nonché il presunto nipote del ministro degli esteri russo Molotov, tenente Basilio Kokorin.
Il giorno 2 maggio 1945 giunse improvvisa al Comando della “Calvi” in Cadore la notizia che Kokorin desiderava essere liberato immediatamente. Allora Carlo Orler, Commissario partigiano alla sicurezza, ordinò a Vittorio Sala “Jack”, che in quel momento si trovava a Cortina, di andare in Pusteria a prelevare il sovietico. A lui si unirono altri due partigiani, tra cui il comelicese De Mario, guidatore di una “Balilla” targata BZ 4005, con la quale il gruppo raggiunse l’albergo sul lago di Braies.
Sala avviò subito una trattativa con i soldati della Wehrmacht, mentre gli ostaggi si dimostravano tranquilli e in attesa fiduciosa dell’arrivo degli americani. Solo un ufficiale russo del gruppo degli ostaggi insistette perché i partigiani prelevassero il tenente Kokorin e lo accompagnassero alla rappresentanza diplomatica sovietica in Italia: il suo compito dichiarato era di riferire a Stalin che i tedeschi gli avevano ucciso il figlio Jakob.
Kokorin appariva nervoso: probabilmente i suoi segreti andavano al di là di quanto asserito o forse temeva di poter diventare un nuovo ostaggio degli americani.
O ancora, più facilmente, temeva la morte più di tutti gli altri ostaggi, in quanto, reduce com’era da diversi campi di concentramento, tra cui Dachau, conosceva bene i nomi di molti aguzzini e collaborazionisti, tanto da essere tenuto a lungo legato ad una parete con filo di ferro.
Per tranquillizzarlo, Sala gli prestò la sua pistola e decise di rapirlo seduta stante. Il gruppetto si diresse di corsa verso la “Balilla”, vi si buttò dentro e scappò, senza che i tedeschi, sorpresi e interdetti, sparassero un solo colpo. Kokorin fu ospitato nella casa di Sala a Borca nella notte tra il 3 e 4 maggio: appariva più rilassato, conversò con Luigi Perini e forse in quelle ore vergò di suo pugno una dichiarazione in cui affermava che il figlio di Stalin, Jakob Dzugasvili, era stato ucciso il 16 aprile 1943 nel campo di concentramento di Oranienburg.
Al padre di Vittorio Sala lasciò inoltre i propri dati anagrafici e l’indirizzo di Mosca. Quando, sul far della notte, arrivarono in paese gli americani, Kokorin non volle nemmeno scendere, chiedendo anzi di nuovo per garanzia la pistola. Il giorno dopo venne preso in consegna da Franco Dall’Armi, ma su quanto avvenuto poi sappiamo ben poco. Risulta solo che raggiunse Bari e fu imbarcato alla volta di Odessa. Interrogato a lungo dai servizi segreti russi, scontò diversi anni di carcere e venne infine fucilato nel 1951 per motivi e in circostanze mai chiariti. Forse la sua parentela con Molotov, caduto in disgrazia, era solo millantata, ma certo si portava dietro un segreto pesantissimo per molti, ma soprattutto per lui stesso.
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