Il Cadore in piedi davanti a don Renzo
PIEVE DI CADORE. «Quando, il 14 aprile, pochi giorni dopo la mia nomina a vescovo, ricevetti una lettera da don Renzo Marinello, vedendola ornata con uno stemma che non sapevo interpretare, mi preoccupai. Però, una volta aperta e letta quella lettera davvero squisita, compresi subito che quel logo particolare era dell’arcidiacono emerito del Cadore». Così è iniziata l’omelia del vescovo della diocesi di Belluno –Feltre, monsignor Renato Marangoni, arrivato a Pieve per presiedere i funerali di monsignor Renzo Marinello, deceduto nella notte tra l’1 e il 2 settembre. « In quello scritto», ha proseguito il vescovo, «mi assicurava che avrebbe sempre pregato per me e non solo durante l’Eucaristia, ma anche durante il giorno e la notte, dimostrando così di essere molto vicino a Dio, come era stato Giacobbe della Bibbia. Sulla fede don Marinello non ha mai mollato, nemmeno negli ultimi giorni, quando si chiedeva se avesse fatto tutto ciò che era necessario per il bene dei fedeli».
Era dal 21 luglio 1996, quando venne in visita Papa Giovanni Paolo II, che a Pieve non si vedevano tanti sacerdoti e due vescovi tutti insieme (c’era anche quello emerito Giuseppe Andrich): tutti arrivati per rendere l’ultimo omaggio al loro arcidacono; una carica che forse è fuori del tempo, come hanno testimoniato le parole del vescovo Marangoni, ma pure tanto importante per tutto il Cadore e per i suoi sacerdoti. Insieme ai sacerdoti ed ai diaconi, sono arrivate anche le autorità e la gente, tanta da riempire fino ben oltre l’ultimo posto la grande chiesa arcidiaconale, tanto amata e difesa dal degrado da Marinello, che ha impegnato molte delle sue forze, non solo fisiche, per conservarla ed abbellirla. Insieme ai fedeli anche le associazioni: la Famiglia ex Emigranti del Cadore, il Coro Comelico (che ha voluto dedicare al suo fondatore una "canta" all’offertorio), gli alpini della sezione Cadore con due ufficiali superiori originari di Valle, che monsignor Marinello prendeva spesso come esempio di dedizione all’Italia e al Cadore, la sua “Piccola Patria”.
Una espressione che è stata ripresa dall’oratore ufficiale, don Luigi Del Favero, che prima della conclusione della cerimonia funebre ha ricostruito le tappe della vita di don Renzo. In particolare, il religioso ha ricordato le esperienze vissute a Borca, «dove Marinello fu vicino per anni al parroco divenuto cieco; a Dosoledo e Domegge, dove conosceva tutti i parrocchiani personalmente; e infine a Longarone, dove riuscì a conciliare il suo mandato di arciprete con le necessità della ricostruzione. Infine», ha concluso don Luigi Del Favero, «l’arrivo a Pieve, nel 1993, sostituendo monsignor Sagui. Qui Marinello s’impegnò a fondo per la difesa del Cadore e dell’arcidiaconato. Ma il suo risultato più alto fu l’intitolazione dell’ospedale a San Giovanni Paolo II».
All’uscita dalla chiesa, si è formato un lungo corteo che ha accompagnato il feretro al cimitero di Pieve. Dopo l’ultima benedizione, il saluto alla salma anche da parte dei parenti e il rito della deposizione nella cappella degli arcidiaconi.
GUARDA LA FOTOGALLERY
DELLA FUNZIONE RELIGIOSA
sul sito www.corrierealpi.it
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi