Il Cansiglio apre la caccia ai cervi
Diventa operativo il piano di contenimento con 1.500 abbattimenti
CANSIGLIO. Tra pochi giorni in Cansiglio riapre la caccia al cervo. Ufficialmente si chiama "piano di contenimento" della popolazione della specie ed è stato illustrato ieri mattina in dettaglio nella sede di Veneto Agricoltura, sulla base dell'accordo stipulato tra la Regione Veneto e quella del Friuli e le Province di Belluno e Treviso, che hanno affidato il suo svolgimento alle riserve di caccia alpine dei distretti delle due province venete e di Pordenone. In tre anni è previsto l'abbattimento di circa 1.500 capi tra maschi giovani, femmine e piccoli, con un andamento in crescita a partire dal 2011 fino al 2013, collegato a un'azione di monitoraggio degli effetti di contenimento. Il piano, che si colloca al di fuori del calendario venatorio, riguarda per il 90% le zone extra demaniali del Cansiglio, mentre nella zona protetta gli abbattimenti (circa 40) e le catture per eventuali spostamenti degli ungulati in altre zone (definiti comunque molto costosi e problematici per mancanza di richieste in questo senso) saranno affidati agli agenti del Corpo forestale e alle guardie provinciali. Michele Bottazzo, tecnico di Veneto Agricoltura, l'ente che gestisce il patrimonio forestale per conto della Regione, stima che ogni 5-6 anni la popolazione dei cervi raddoppi (attualmente in Cansiglio se ne contano circa 3.000), con un conseguente aumento esponenziale dei danni all'habitat, alla vegetazione e alle altre speci animali. Un problema che riguarda anche gli allevatori e i coltivatori della piana, nella zona demaniale, che denunciano da tempo le razzie di foraggio che li costringono ad approvvigionarsi altrove e con costi elevati, mettendo a rischio anche il marchio "biologico" sui loro prodotti. La zona demaniale misura 6.000 ettari ed è circondata da altri 60.000 ettari di foresta, di cui poco meno di due terzi veneta e per il resto friulana. Il piano poliennale è stato approvato anche dall'Ispra (Istituto per la protezione e ricerca dell'ambiente) e firmato dall'Istituto zooprofilattico delle Venezie, che ne cura l'aspetto scientifico e sanitario. «Questo servirà a raccogliere informazioni e anche a dare delle risposte alle preoccupazioni degli allevatori riguardo ai rischi di contaminazione tra speci selvatiche e d'allevamento, peraltro poco frequenti e poco provate», ha sostenuto Carlo Citterio. «Non intervenire significa mettere a repentaglio un'area di livello naturalistico d'eccellenza», ha sottolineato Paola Berto, dirigente del settore forestale di Veneto Agricoltura, che ha fatto presente come l'abete bianco, di cui il cervo si nutre volentieri, sia sempre più raro. Bottazzo ha citato le difficoltà che la sovrappopolazione di cervi causano anche a speci animali come il francolino di monte e i galli cedroni e forcella, cioè agli uccelli che nidificano a terra, oltre che per altri ungulati come ad esempio il capriolo. La necessità di una doppia azione, sia fuori che all'interno della zona demaniale, è stata sottolineata dal responsabile del settore faunistico e venatorio della Provincia di Belluno, Gianmaria Sommavilla: «Prelevandoli solo all'esterno si rischia di incrementare il numero di cervi nella zona protetta, come è già accaduto sullo Stelvio, con le conseguenze che si possono immaginare, specie per gli allevatori». All'incontro di ieri erano presenti anche Guido Lavazza, a capo dell'ufficio regionale veneto fauna e caccia e il funzionario di quello delle risorse agricole, naturali e forestali della regione Friuli Venezia Giulia, Andrea Cadamuro. Nessun rappresentante politico, né delle riserve di caccia alpine nè delle aziende agropastorali della Piana.
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