Il figlio del cacciatore ucciso in Comelico: «Una tragica fatalità»
Claudio Alfarè Lovo tende la mano a Fabio De Lorenzo: «Gli voglio più bene di prima»
SANTO STEFANO DI CADORE. «Voleva dirmi qualcosa ma non ce l'ha fatta. E' così che gli ho chiuso gli occhi». Claudio Alfaré Lovo è una roccia. Tutti dicono che assomigli al padre, morto mercoledì alle 13 sul Popera dopo che una pallottola vagante - partita dal fucile dell'amico Fabio De Lorenzo Dandola - lo ha colpito al volto. Nelle parole sofferte del diciannovenne non c'è nessun accenno di rabbia, solo dignità e coraggio: «Non doveva capitare, ma è stata una tragica fatalità. Poteva esserci qualcun altro. A Fabio dico solo che gli voglio più bene di prima».
Ieri mattina Claudio è stato a Belluno per dire addio al padre in attesa che sul suo corpo venga eseguita l'autopsia. Mercoledì pomeriggio sia il ragazzo che l'amico del padre sono stati sentiti a lungo dai finanzieri di Auronzo di Cadore. Hanno ricostruito insieme quelle frazioni di secondo tanto concitate quanto fatali. E Claudio, in tutto questo, si è dimostrato molto più grande e maturo dei suoi diciannove anni. «Lui e suo padre erano due gocce d'acqua», afferma una delle zie. «E' lui a consolare noi». E pensare che proprio oggi il ragazzo doveva scendere a Belluno per sostenere l'esame di abilitazione al patentino. «Io vado avanti», dice, «così avrebbe voluto mio papà. E' una passione che mi ha trasmesso e alla quale non voglio rinunciare. L'esame è solo rinviato, adesso non ce la farei». Claudio, cosa ti ricordi? «Siamo partiti da Padola di mattina, poi quando abbiamo raggiunto la zona del rifugio Sala, ci siamo appostati. Volevamo trascorrere una giornata serena. A mezzogiorno abbiamo anche tirato fuori i panini». E poi cos'è successo? «Mio padre ha visto un camoscio. Ha esploso alcuni colpi, due o tre, poi si è spostato. In quel momento è stato raggiunto dalla pallottola del fucile di Fabio. Il colpo è partito inavvertitamente nella concitazione del momento. E' stata una fatalità». Tutto in pochi secondi... «Mi sono precipitato da mio padre e l'ho preso tra le braccia. Sentivo che voleva dire qualcosa ma non ce l'ha fatta. E' morto quasi subito. Gli ho chiuso gli occhi». E Fabio? «E' stata una fatalità. Poteva capitare a me o a lui». Lo perdoni? «Non si tratta di perdonare. Il problema non me lo sono nemmeno posto. Mio papà e Fabio erano grandi amici. E' lui il primo a stare male. Fra un po' (ieri pomeriggio, ndr) andrò a trovarlo a casa. Posso solo dire che gli voglio più bene di prima». Domani (oggi per chi legge) dovevi sostenere l'esame da cacciatore in provincia. Lo vuoi fare ancora? «Sì, ma non ora, non ce la faccio e poi devo rimanere con la mia famiglia. Voglio diventare cacciatore. E' una cosa che mi legava a mio padre. Lui amava i suoi boschi e le sue montagne. Quando avevo due mesi mi portava con lui». Da poco lavoravi anche nella sua azienda... «Voglio andare avanti anche con la sua attività. Adesso mi devo rimboccare le maniche. Devo sostenere mia madre e mio fratello più piccolo». Le tue parole esprimono grande forza... «Devo reagire così. So che lui vuole questo. Io voglio andare avanti come mio papà».
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Argomenti:incidenti di caccia
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