Il figlio di Aldo Cervi ha presentato a Belluno il libro "I miei sette padri"
Memoria e resistenza con la grinta di Adelmo: «Società bastarda
dobbiamo svegliarci»
«Questa è una società ingiusta e bastarda e ci dobbiamo dare una svegliata, direbbe mio padre». Parole a voce alta di Adelmo Cervi, per ricordare Aldo, uno dei sette fratelli fucilati per rappresaglia dai repubblichini fascisti, al poligono di tiro di Reggio Emilia, il 28 dicembre 1943. Parole di un «comunista e anticapitalista», che a 81 anni ha ancora una grande fiducia nei giovani, come quelli che giovedì aveva incontrato nelle scuole, al Follador di Agordo e al Colotti di Feltre: «Non sono apatici, semmai stanchi dei burocrati».
Bastian contrario, ma anche autocritico, durante la chiacchierata con Gino Sperandio, presidente dell’Anpi, «perché di errori ne abbiamo fatti tanti e ci ritroviamo con un governo di mezzi fascisti. Ci siamo sbagliati anche sul ruolo delle donne, che durante la Resistenza facevano al massimo le staffette e lavoravano i campi, dopo aver messo al mondo i figli. Di mia nonna, ad esempio, non si è quasi mai parlato. Sono comunista per gli ideali di mio padre, che pure aveva avuto una formazione cattolica, ma al ritorno dal carcere militare di Gaeta, dove era finito per una sentenza ingiusta era cambiato. Prima sgridava mia sorella, perché capitava che non andasse a messa, dopo ha incontrato il prete e gli ha detto di aver scoperto e capito che le ingiustizie non si cambiano con le preghiere».
Adelmo Cervi ha presentato anche il suo libro scritto a quattro mani con Renato Nicolai “I miei sette padri” e a tutti quelli che l’hanno preso ha scritto una dedica a penna rossa, che si è conclusa con “la lotta continua”: «Ma bisogna essere uniti, come lo erano papà e i suoi sei fratelli. Ragazzi che però avevano ciascuno un proprio carattere, una vita e una storia. Nessuno poteva avvicinarsi a casa Cervi, perché era considerata un covo di ribelli. Erano contadini, ma proprio per questo si trattava di gente genuina, che non faceva tanti giri di parole. Erano tutti convinti che alla guerra si dovesse rispondere con la guerra».
Il piccolo Adelmo aveva solo quattro mesi, quando gli ammazzarono papà e zii e le condizioni erano talmente difficili che «sono andato poco a scuola per dedicarmi alla vita nei campi e ci sono tornato quando ero più grande in Unione Sovietica, dove ho cercato di frequentare i coetanei, che condividevano le mie stesse idee. A un certo punto, mi è stato detto che, se fossi tornato a casa, non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Poi è vero che, se abbiamo sconfitto il nazifascismo, lo dobbiamo proprio all’Urss. Parlo del popolo, naturalmente, non certo dei vertici del Cremlino. Perché quando c’è una guerra, ci vanno i ragazzi a combattere e non chi comanda. Ci manderei Zelensky in prima linea, al posto dei giovani ucraini».
Il lavoro è stato uno degli argomenti più toccati: «Guardate che la Pianura Padana era tutto un dosso e abbiamo dovuto lavorare tanto, per poter vivere. Da noi c’era anche il toro Battista a darci una mano. Adesso dobbiamo continuare il nostro impegno, per cambiare in meglio le cose».
Sul palco, per chiudere, anche l’ex sindaco Giovanni Crema, il segretario provinciale del Pd, Alessandro Del Bianco e la consigliera comunale Lucia Olivotto della lista civica Insieme per Belluno: «Le liste civiche sono state un altro aborto», ha concluso Adelmo Cervi. Bastian contrario?
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