Il figlio di Mesinovic è con l’Isis

Il piccolo Ismail riconosciuto in foto dalla madre, i caranibieri del Ros di Padova indagano sul caso

BELLUNO. «Quel bambino è Ismail». Non ha avuto dubbi Lidia Solano Herrera, la mamma cubana di Ismail Davud Mesinovic, il bambino di tre anni di cui non si hanno più notizie certe da un anno e che la donna è convinta di aver riconosciuto in una foto che ritrae il piccolo in sella a una moto assieme a un combattente dell’Isis. Sul caso stanno indagando i carabinieri dei Ros di Padova. Gli stessi investigatori sottolineano che ci sono molti punti di somiglianza tra le immagini su internet e le fotografia scattate a casa prima del rapimento

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Lidia Solano Herrera, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011, ha lanciato l'allarme nei giorni scorsi durante la trasmissione AnnoUno su La7. Durante la trasmissione è stato trasmesso il reportage realizzato da Pablo Trincia e riferito al viaggio compiuto dal giornalista e dalla madre di Ismail alla ricerca del bambino. I due, arrivati in Turchia, si erano spinti fino a 500 metri dal confine con la Siria, prima di desistere per l’alto pericolo.

Notizia confermata anche dalla pagina Facebook “Riportiamo a casa Ismail”, la social-comunità attivata lo scorso 11 dicembre e già capace di raccogliere 1200 contatti (centinaia anche i followers su Twitter). Sulla pagina compaiono due foto del bambino: una a casa, a Ponte nelle Alpi, l’altra in sella a una moto (incappucciato e con una fascia sulla fronte recante una scritta in arabo) con alle spalle un combattente dell’Isis.

L’ultimo contatto (telefonico) tra madre e figlio risale ormai al 20 dicembre 2013, quando il bambino si trovava dai parenti in Serbia con il padre: Ismar Mesinovic, l’imbianchino che per anni aveva vissuto tra Longarone e Ponte nelle Alpi (e frequentatore di centri islamici tra Belluno, Treviso e Pordenone) prima di essere ucciso a inizio anno ad Aleppo, in Siria, dove si era recato per combattere il regime di Assan.

Jihad, cinque indagati in Veneto: sarebbero legati a Mesinovic

«La madre di tutti i mali»: gli investigatori che conducono indagini sul terrorismo di matrice islamica nel nordest definiscono così Bilal Bosnic, 41 anni, uno dei predicatori islamici indagati dalla procura di Venezia per reclutamento di combattenti jihadisti. Il nome di Bosnic, arrestato in Bosnia, compare, seppure in modo indiretto, anche nella vicenda di Ismail Mesinovic, portato in Siria circa un anno fa dal padre. «Abbiamo molti elementi per pensare che sia lì» dicono gli investigatori, parlando del caso del bambino; meno certezze - «ma stiamo verificando ogni possibile collegamento» - sul fatto che le foto diffuse in rete dai fondamentalisti siano veramente quelle del piccolo. I carabinieri dei Ros, gli stessi che indagano sulle infiltrazioni fondamentaliste, quel bimbo non hanno mai smesso di cercarlo. Hanno ricostruito quasi nei minimi dettagli i diversi passaggi della "fuga" del padre dal bellunese fino alla sua morte. Hanno sentito diverse volte la madre. «La famiglia è molto collaborativa» si lascia sfuggire un investigatore.

I carabinieri sono certi che Bosnic ha svolto un ruolo importante nell'opera di reclutamento di Mesinovic e di un macedone, Munifer Karamaleski, "scomparso" da Chies d'Alpago lo scorso anno per passare sotto le fila dei fondamentalisti islamici. Con Mesinovic è sparito anche il piccolo Ismail e da questo nasce la definizione del predicatore islamico quale fonte di tutti i mali. In questi giorni, intanto, si stanno tirando le fila dell'indagini sui reclutamenti - «accertamenti difficili e a lunga gittata» dice un investigatore, dove molto è dato dalle verifiche sul campo ma anche dai controlli in rete e telematici - e nelle prossime settimane dovrebbe essere depositata una specifica relazione sul tavolo della procura distrettuale lagunare. Nell'inchiesta, che ha portato nelle settimane scorse a una serie di perquisizioni nel bellunese, sono indagate cinque persone, tra cui lo stesso Bosnic. E non è escluso che si possa arrivare all'emissione di provvedimenti cautelari, sempre che le indagini riescano a chiudere il cerchio delle prove sui presunti reclutatori. 

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