Il giudice: «Menestrina aveva a cuore la polizia»
Poliziotto assenteista? Non è così. Il giudice Feletto ha motivato la sentenza di assoluzione per Michele Menestrina, sottolineando che «il comportamento complessivo non è quello del dipendente assenteista, avendo dimostrato - soprattutto per la questione del poligono - di avere a cuore il buon andamento dell’amministrazione di appartenenza, “piegandosi” alla pressione dei propri superiori, nonostante quello che gli veniva richiesto, non fosse normativamente regolare». L’imputato ha ammesso che né il capo di gabinetto Fodarella né l’allora questore Ingrassia avevano detto che poteva fare le manutenzioni straordinarie al Tiro a segno nazionale, del quale era presidente, durante il normale orario di lavoro, ma che è andato al poligono, perché «non aveva niente da fare in ufficio».
Menestrina era a processo per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, truffa aggravata allo Stato e abbandono del posto di servizio. Il pm Marcon aveva chiesto due anni, mentre il difensore Patelmo ha ottenuto quello che voleva: l’assoluzione, perché il fatto non sussiste. L’agente era stato denunciato dal collega e responsabile dell’Ufficio Tecnico logistico della caserma Raniero, Cristiano Faccin e gli venivano contestate con il gps 33 ore non lavorate, fra il 30 giugno e il 27 luglio 2015 per un valore di 1000 euro. Nella polizia, mancavano le munizioni da esercitazione; non si è riusciti a frequentare il poligono della caserma Piave e allora è tornato buono il Tiro a segno nazionale, anche in mancanza di autorizzazioni all’uso di cartucce camiciate, che di danni alla struttura ne provocavano.
Ingrassia ha escluso che ci fossero problemi con le munizioni: «Il poligono fu sottoposto a verifica da pate dell’ufficio apposito dell’Esercito e in base alle risultanze furono apportate delle piccole modifiche al parapalle e fu possibile continuare le esercitazioni con le cartucce ordinarie». Ma le indagini integrative del pm Marcon hanno smentito questa ricostruzione.
Menestrina ha detto di aver sempre avvertito Faccin, quando andava a ripristinare Mussoi, mentre il superiore ha sostenuto il contrario: «Nel momento in cui l’imputato si allontanava, spariva dall’ufficio, lo faceva senza dire nulla». Non ci sono elementi per ritenere che Faccin abbia detto il falso, allo stesso tempo tutti i testimoni hanno confermato che tra i due non c’era buon sangue. Detto questo «si deve prendere atto che la versione fornita da Menestrina ha ricevuto conferma testimoniale» scrive il giudice Feletto.
È provato che «il carico di lavoro era pressoché inesistente; l’imputato aveva acconsentito l’uso di pallottole camiciate, per consentire ai colleghi di esercitarsi; grazie al suo consenso la polizia ha potuto proseguire le esercitazioni; nella quasi totalità delle assenze, vi è prova che l’imputato andava al poligono». I reati non ci sono e l’imputato va assolto. —
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