«Il luogo dell’occultamento è decisivo»
BELLUNO. «Occorre riascoltare subito Angelo Izzo con precisione su tutti gli aspetti, solo così si potrà notare se si contraddice. Si deve puntare a scoprire il presunto luogo dell’occultamento del cadavere, prova decisiva per aprire un’indagine».
È quanto afferma l’avvocato Antonio La Scala, presidente dell’associazione Penelope. A lui si sono affidati i familiari di Rossella Corazzin, da quelli più vicini (residenti a San Vito e Tai di Cadore) a quelli residenti all’estero, in contatto per seguire gli sviluppi della vicenda, perché il legale segua il caso dopo le dichiarazioni di Izzo. Familiari inorriditi dalla testimonianza dell’assassino del Circeo, ma determinati a cercare la verità a quasi 43 anni dalla scomparsa di Rossella.
Penelope, associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse, era sempre stata vicina a Angela Trevisan, nota come Elisanna, madre di Rossella, deceduta nel 2008. Per questo è stato naturale rivolgersi all’avvocato La Scala, presidente di un sodalizio che già conosce tutti i trascorsi circa la scomparsa della 17enne, sulla quale hanno fatto breccia le dichiarazioni di colui che è diventato il personaggio chiave, seppur controverso, della vicenda.
La Scala, che mercoledì prossimo parlerà del caso a “Chi l’ha visto? ”, è stato chiaro con i parenti: «Speriamo non venga subito tutto archiviato, il rischio c’è. Come tutte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie, servono riscontri oggettivi. Impossibile contare su tabulati telefonici o sopralluoghi, visto che Izzo non parla del presunto luogo di occultamento». Senza i resti del corpo, un pentito o altri riscontri, sarebbe impossibile un’indagine scientifica e la verifica dell’attendibilità di Izzo.
La testimonianza di “Chi l’ha visto?” aggiunge poco: «Attestare la presenza nel luogo di quelle persone» osserva l’avvocato, «non fornirebbe alcuna prova di rapimento e quant’altro. La speranza che qualcuno confessi mi lascia dubbioso. Il pm ha un lavoro molto difficile: Penelope farà il massimo per riaprire il caso come per gli altri in cui ha avuto successo, ma su questo non sono, al momento, ottimista».
Una raccolta firme per sollecitare la riapertura delle indagini, come quella avviata a San Vito, può avere effetti? La vicinanza della comunità rincuora i familiari, ma sul piano giudiziario «le petizioni non servono a nulla» aggiunge La Scala, «per il caso Orlando si raccolsero 80 mila firme, subito dopo si archiviò tutto. Faremo il possibile: in astratto, la versione di Izzo è compatibile con la scomparsa di molti bambini e ragazzi avvenuta all’epoca (buona parte dei 2.306 minori scomparsi in Italia dal 1974 al 2017), come quella di Corazzin».
Andrea Sartori
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