Il lupo preoccupa gli allevatori «Recinti e cani non funzionano»
BELLUNO. La sera vanno a dormire con la paura, al risveglio, di trovare pecore, vacche o asini sbranati. Le misure preventive messe a disposizione dalla Regione Veneto non sono efficaci e portare gli animali nelle malghe sta diventando un problema. Gli allevatori bellunesi sono esasperati. E tutta la rabbia, la preoccupazione e l’amarezza sono emerse giovedì sera a Trichiana, durante l’incontro organizzato dal Comitato Salvaguardia Alpina, formatosi di recente grazie all’iniziativa di un gruppo di giovani allevatori, che hanno deciso di unirsi per capire come affrontare le problematiche create dal ritorno del lupo.
«Siamo stufi di assistere a convegni in cui viene detto che noi allevatori dobbiamo cambiare cultura e mentalità. È arrivato il momento di dire la nostra», ha esordito Diego Donazzolo che, oltre a essere presidente di Confagricoltura, alleva bovini da latte e ha portato i dati relativi alle predazioni da lupo/canide nel 2017, sulla base delle istanze trasmesse alla Regione: 14 gli attacchi sul Grappa (con 6 bovini e 21 ovini uccisi), altrettanti sul Visentin (persi 62 capi ovini), 4 tra Alpago e Cansiglio (colpite 42 pecore), 2 a Livinallongo (una pecora e un asino). «Purtroppo tanti si dimenticano che mantenere il presidio delle stalle in montagna significa garantire un sistema economico che ha radici storiche lontane ed è fondato sul mantenimento dell’asse pascolo-foraggere-ruminanti», ha detto ancora.
Un lavoro che però, se non verranno presi provvedimenti, rischia di sparire. «Già i margini sono risicati e, se si perdono anche dei capi a causa del lupo, diversi allevatori decideranno di chiudere. Il futuro è fatto di malghe in abbandono», ha evidenziato Giulia Frigimelica, che con la famiglia gestisce Malga Framont, sopra Agordo, e che è portavoce del Comitato Salvaguardia Alpina.
Sulla stessa linea d’onda Orazio Da Rold, gestore di malga Col Toront, in Nevegal, e i numerosi allevatori e cittadini presenti in sala San Felice. «La prossima settimana devo caricare la malga e sono seriamente preoccupato», ha aggiunto Da Rold. «La Regione mette a disposizione risorse per recinti elettrificati, ma non funzionano: i lupi li saltano oppure spaventano gli animali, spingendoli a rompere la recinzione. In più la conformazione del nostro territorio, tutto in pendenza e con parti rocciose, rende difficile il posizionamento di paletti e reti».
Silvia Fasoli dell’associazione Salvaguardia rurale veneta e Isabella Lora, titolare con la famiglia di una malga a Caltrano, hanno portato l’esperienza di Lessinia e Altopiano di Asiago, interessate dal ritorno del lupo ancor prima della provincia di Belluno. «Recinti elettrici e cani da guardia non funzionano», hanno confermato, «e chiudere gli animali in stalla non è fattibile: i danni del mancato accrescimento per l’impossibilità di pascolare non sono trascurabili».
Il Comitato Salvaguardia Alpina sta anche pensando a un documento da sottoporre a Comuni, Provincia e Regione. Alla serata di giovedì erano presenti amministratori dei quattro Comuni della Sinistra Piave. «L’intento è contattare anche gli altri sindaci, quello del capoluogo in primis», ha anticipato Da Rold. «Speriamo di poter contare sul loro appoggio per fare massa critica a Venezia».
Ma quali possono essere le soluzioni? «Gli altri paesi si stanno muovendo: pensiamo a Francia, Spagna, Nord Europa, Svizzera e Slovenia», hanno precisato Frigimelica, Da Rold e un altro allevatore, Francesco De Gasperin. «Non vogliamo certo che il lupo si estingua, ma contenerlo. In Francia e Svizzera sono consentiti abbattimenti eccezionali qualora singoli lupi causino danni notevoli all’uomo e questo sta accadendo anche in provincia. Non possiamo andare avanti così, chi può assicurarci che il lupo non deciderà di attaccare anche le persone?».
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