«Il mais era bellissimo e le piante erano già alte: ora non sappiamo se produrremo qualcosa»

Paolo Carlin ha i suoi terreni tra Meano di Santa Giustina e Sedico. Riseminerà la soia ma dubita di poter raccogliere pannocchie 

SEDICO

«I nostri vecchi si sarebbero messi nel campo a togliere le foglie spezzate da ogni pianta di mais, per lasciar libero il “cuore” e far riprendere la crescita. Ma hai presente cosa vuol dire farlo su trenta ettari di terreno?».

Paolo Carlin scuote la testa, accarezza con lo sguardo le piantine di mais falciate ad una spanna da terra dalla grandinata di martedì pomeriggio.

Dovrà lasciarle lì, aspettare e vedere cosa verrà su, se alla fine riusciranno a riprendersi e a ricrescere abbastanza da produrre qualcosa. Oppure prendere il coraggio a quattro mani, togliere tutto e, finché la stagione lo permette, riseminare a soia.

L’ex presidente bellunese di Coldiretti, con la sua azienda agricola Dolomiti, lavora la terra su un lato e sull’altro del Cordevole nel pieno della zona colpita dalla tempesta. Venti ettari a soia e trenta a mais. Ma da Meano di Santa Giustina alla zona di Seghe di Villa di Sedico, in un quarto d’ora di grandinata furiosa si è visto spazzare via la futura produzione di mais e di soia.

«L’anno scorso il mais era stato rovinato dal freddo e dalla pioggia. Quest’anno era già bellissimo, tutti dicevano “Carlin ha il mais più bello in zona”, si dovevano vedere che belle piante alte mezzo metro», racconta sconsolato.

Tutto andato, come sono andate le piante di soia che sembrano essere state schiacciate a terra da un rullo compressore. Quelli che erano campi completamente verdi di soia in crescita ora sono tornati marrone, come campi appena arati e fresati. Bisogna avvicinarsi per vedere quello che resta delle piantine rullate a terra dai chicchi di grandine.

«Ero appena rientrato con il trattore dopo aver fatto l’ultimo giro per fertilizzare con l’urea», racconta l’ex presidente della Coldiretti. «Ho fatto appena in tempo ad arrivare al capannone, la grandine ha iniziato a venire giù fortissima».

Una scarica fitta di ghiaccio da non vederci, un fracasso insopportabile contro il tetto del capannone: «Era da tenere su le cuffie di protezione da quanto rumore faceva», racconta Carlin mentre fa il giro dei suoi appezzamenti devastati.

Tutto finito a terra. «A Meano vicino al cimitero, a Seghe di Villa, a Roe, a Vignole, tutti i coltivatori sono stati colpiti», spiega. «Senza contare che avevamo già i nostri problemi: a Prapavei avevo appena seminato, poi sono andato il giorno dopo a rullare e i cinghiali avevano già scavato buche grandi così», spiega allargando le braccia. «E mi sono trovato nel campo pure due cervi che così grandi in settant’anni non li avevo mai visti».

Ora resta da capire cosa fare. La soia si può riseminare in tempi stretti, ma per il mais devastato non c’è molto da fare. Senza contare che la tempesta ha dilavato anche il fertilizzante che era stato distribuito nei campi nei giorni scorsi. Anche quello un lavoro completamente vanificato.

«Per riseminare la soia dobbiamo aspettare che la terra asciughi, siamo ancora in tempo per seminarla da capo», dice Carlin, «ma intanto è già prevista una settimana di maltempo, non possiamo perdere tempo. Quando hai una azienda agricola devi abituarti a non restare a letto alla mattina e a non saltare neanche una giornata, nemmeno adesso possiamo perderci d’animo». —




 

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi