«Il nostro impegno è mantenere il lavoro qui»

Gli industriali bellunesi si sono confrontati sul passato e sul futuro dell’economia «Creare sistema, avere fiducia in se stessi, amare il bello, lavorare insieme»
Di Martina Reolon

BELLUNO. Saper fare, gusto del bello, laboriosità. Sono i tre «elementi antropologici», così come li ha definiti Giorgio Brunetti, docente di economia aziendale all’università Ca’ Foscari e alla Bocconi, che da sempre caratterizzano l’imprenditoria del Nordest e, in particolare, quella bellunese.

Elementi che hanno rivestito e che continuano ad avere un ruolo fondamentale, ma ai quali si deve aggiungere la capacità di agire in un contesto di continuo cambiamento, «dalla grande crisi alle grandi opportunità», come affermato da Paolo Gubitta, docente all’università di Padova e direttore scientifico del Cuoa.

Confindustria Belluno ha compiuto ieri 70 anni. E da quel 10 luglio del 1945, quando venne costituita quella che allora si chiamava “Libera associazione tra gli industriali della provincia di Belluno”, il “saper fare” bellunese è rimasto, ma tante cose nel frattempo sono cambiate. E proprio di questo si è parlato nel corso dell’assemblea e della festa tenutesi nel giardino di Palazzo Doglioni Dalmas, alla presenza di numerosi associati, amministratori e rappresentanti di categoria. «Settant’anni fa, come oggi, l’Italia e il mondo uscivano dalla seconda guerra mondiale», ha detto Luca Barbini, presidente di Confindustria Belluno. «L’industria a quel tempo produceva solo ciò che veniva richiesto dalla macchina bellica. A Belluno gli industriali furono tra i primi a riorganizzarsi in un’associazione, la cui storia è la storia degli imprenditori: se oggi il territorio vive in condizioni di relativo benessere, lo si deve al coraggio di questi ultimi, capaci di creare aziende dal nulla».

E Barbini non ha mancato di fare riferimento alla situazione attuale: «Sappiamo che l’idea di Europa unita è messa in crisi dai fatti che tutti conosciamo. Il rischio che questo ideale si sgretoli è più reale che mai. E noi non vogliamo che le lancette della storia tornino pericolosamente indietro».

Anche perché c’è un grosso patrimonio da non sprecare. E che il territorio bellunese deve riuscire a spendere a livello ampio. «Siamo entrati in una nuova epoca, purtroppo di flessione», ha sottolineato Brunetti, «e in cui sopravvivono due aziende: quelle dedicate all’internazionalizzazione e le imprese che puntano alla qualità». Aspetti messi in risalto pure dagli imprenditori che ieri, moderati dal giornalista Daniele Ferrazza, hanno portato la propria testimonianza, ripercorrendo anche la storia di realtà aziendali nate in periodi diversi dall’attuale. «Il nostro impegno è volto a riuscire a mantenere il lavoro nel nostro territorio», ha evidenziato Ennio De Rigo.

«Una scommessa che finora abbiamo vinto. E cerchiamo di continuare a farlo». «Impresa si può fare anche in montagna», ha fatto eco Luca Mazzucato, direttore generale Errebi di Cibiana, «ma bisogna creare sistema, avere fiducia in se stessi, amare il bello, continuando però a farlo lavorando insieme e in gruppo».

Puntando anche all’eccellenza. «Ma questo cosa significa?», si è chiesto Giancarlo Recchia, consigliere della Pramaor di Taibon. «Vuole dire fare le cose in modo migliore degli altri, cercando anche di interpretare l’estetica dei valori: vale a dire puntare a qualcosa di locale che possa diventare universale». Ma come è possibile trovare nella crisi delle opportunità? «Il fatto stesso di vivere in una società del rischio è un’opportunità», ha riflettuto Gubitta, «e il figlio legittimo di questo tipo di società è la capacità di portare i capitali dove ci sono le idee. Per questo chi fa impresa dovrebbe avere anche una visione “laica” della proprietà dell’impresa stessa».

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