Il parroco di Cortina: «Questo è un paradiso, pervaso di fede»

Don Ivano Brambilla a ruota libera su tradizioni, aspirazioni (non solo religiose) e necessità dei suoi nuovi parrocchiani
CORTINA. «Questo è un paradiso. Ringraziamo e benediciamo il Signore. Non abusiamo di questo creato ma custodiamolo come dice la Bibbia». Così don Ivano Brambilla, parroco di Cortina da un mese, rivolto ai contadini e agli allevatori della valle, benedicendo mucche, cavalli, asini, pecore, capre, al rientro dall’alpeggio
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Immaginiamo che la benedizione fosse anche per gli accompagnatori…


«Non solo, anche per le attrezzature, affinché il lavoro si svolga nella massima sicurezza, come pure perché ritornino le precipitazioni, in modo che non si ripetano i problemi della siccità, ma soprattutto perché il lavoro delle Terre Alte sia di benedizione a Dio e agli uomini».


Che cosa l’ha colpita di più nel primo mese di ministero?


«La fede radicata nella tradizione. Pensate che ogni giorno sono un centinaio i fedeli che frequentano le due messe che celebriamo nelle nostre chiese».


È una tradizione che testimonia la “conservazione” che attraversa questa comunità?


«Macché conservazione. Questa è una gente piena di fede, radicata nei valori, tramandati nella storia, ma sempre riletti alla luce delle nuove esigenze. Qui si trovano tradizione più pura ma anche grande generosità e un autentico spirito di solidarietà. Quindi una partecipazione direi popolare alla vita delle comunità. Basterebbe ricordare il gran numero di catechisti».


Lei sembra coniugare perfettamente tradizione e innovazione. È arrivato in carrozza e per il suo ministero usa la bici elettrica a pedalata assistita.


«La carrozza appartiene alla storia più pura di questa comunità, alla sua considerazione della figura del parroco. Che diritto ho io, che sono un umile servitore di questa comunità, di sottrarmi a queste ritualità che, ripeto, fanno parte del dna di questo popolo? Per quanto riguarda la bici elettrica, l’usavo a Pedavena e, a maggior ragione, l’adopero dentro questo creato che esige il massimo rispetto».


Fin dove si è recato in bici?


«Fino a Cima Banche, ovviamente per motivi ministeriali».


Gli ampezzani hanno diritto di rivendicare la loro appartenenza ladina?


«Questa è storia, per quanto ho potuto finora approfondire. Potrò dire di più quando avrò puntualizzato tutte le questioni. Posso aggiungere, però, che nella Chiesa, come nella società, le diversità sono una ricchezza, quindi un’opportunità e non un problema. E come tali vanno valorizzate e promosse».


Cortina è impegnata nella preparazione dei Mondiali di sci. Rappresentano soltanto un evento sportivo ed economico?


«No, dovrebbero rappresentare una grande opportunità anche culturale e morale. Morale nel senso che l’evento sportivo dovrebbe trasformarsi in un’occasione di solidarietà ambientale. Dovremmo cioè essere capaci di dimostrare come, nella pratica persino quotidiana, si può custodire il creato. Qui basta uscire di casa per sentire i profumi della nostra terra».


In questa realtà così delicata, dove non sarà facile evangelizzare il benessere, in caso anche l’opulenza, che modello di Chiesa vorrà implementare?


«Ricchezze? Non possono essere forse il risultato dei talenti che nostro Signore ci mette a disposizione? L’importante è utilizzarli per il bene degli altri; e, ripeto, a Cortina ho trovato una popolazione particolarmente generosa, solidale, che si fa carico delle vecchie e delle nuove povertà, qui come altrove. Certo, la comunità va ascoltata in profondità. E proprio questo deve fare la chiesa e il parroco. Ascoltare in un clima autentico di sinodalità, come raccomanda don Renato, il nostro vescovo».


“Don” Renato, appunto. A proposito di titoli e di insegne, lei dovrà fare ricorso ad una particolare saggezza...


«È vero. Titoli e insegne mi sto rendendo contro che rientrano nel sentire comune di questo popolo. Io non posso mancare di rispetto verso questa sensibilità. Ovviamente dovrò però cercare di interpretare i segni nel modo più corretto. E soprattutto più consono al Vangelo. Se vogliamo alla coerenza tra quanto si mostra e quanto si vive».


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