Il paziente è grave e il chirurgo arriva in elicottero
BELLUNO. Se il paziente non può essere spostato, il chirurgo arriva in volo. È possibile costruire un modello che rivoluzioni l’approccio sanitario nei casi di grandi emergenze? Se lo sono chiesto i medici dell’équipe di chirurgia vascolare di Treviso, da tempo convenzionati con gli ospedali bellunesi, dopo un intervento d’urgenza realizzato qualche settimana fa. Un uomo di cinquant’anni, colpito dalla rottura di un aneurisma dell’aorta addominale, non trasportabile, rischiava la vita ed è stato salvato solo grazie all’intervento tempestivo del primario di chirurgia vascolare dell’ospedale di Treviso, Edoardo Galeazzi, che ha deciso di usare l’elicottero per raggiungere l’ospedale di Feltre e operare il paziente.
Dottor Galeazzi, perché è intervenuto lei in un ospedale bellunese?
«L’équipe trevigiana ha una convenzione con altre Usl, siamo consulenti per la chirurgia vascolare negli ospedali di Belluno, Feltre, Pieve di Cadore e Conegliano. In quegli ospedali lavorano dei fiduciari di sede, cioè dei colleghi chirurghi che sono i nostri interlocutori, ci conoscono da tempo e sanno come operiamo».
Cosa è successo a Feltre?
«È arrivato un paziente con la rottura di un aneurisma e l’aorta addominale dilatata. I colleghi feltrini hanno rilevato che il quadro era troppo instabile e che l’uomo non era trasportabile perché l’aorta avrebbe ceduto».
I colleghi di Feltre le hanno chiesto aiuto?
«Mi ha chiamato il dottor Mauro Dal Soler, vice primario specialista in chirurgia generale, spiegando la situazione. Ne abbiamo parlato, non c’era alternativa, bisognava operare subito e il dottor Dal Soler ha deciso di affrontare l’intervento. La situazione però era compromessa e dopo un quarto d’ora mi ha richiamato chiedendo se potevamo aiutarlo».
Cosa avete fatto?
«In reparto, a Treviso, eravamo in pochi e si è deciso che sarei andato io che posso intervenire anche da solo, ma raggiungere Feltre con una macchina privata come faccio di solito avrebbe richiesto troppo tempo. Quindi ho chiamato il nostro Suem, che è stato disponibilissimo e mi ha assicurato che nel giro di dieci minuti potevamo partire. Ho chiesto il via libera alla direzione generale, mi sono preparato e ho raggiunto il Suem».
Aveva capito che l’avrebbero portata in elicottero?
«No, pensavo di andare in ambulanza. Quando sono arrivato al Suem mi hanno indicato l’elicottero e mi hanno detto “sali, ti portiamo su noi”. Ci siamo imbarcati e in meno di 20 minuti eravamo a Feltre».
Sembra di capire che era la sua prima volta.
«Non ero mai salito su un elicottero in vita mia».
Com’è andata dopo?
«Appena atterrati ho trovato un collega ad aspettarmi. Mi hanno portato di corsa a lavarmi e poi in sala operatoria dove, sul paziente, c’erano tre colleghi che avevano già aperto il campo operatorio. Il dottor Dal Soler era in posizione principale e mi ha detto di prendere il suo posto, ma mi sembrava pronto e gli ho detto di restare dov’era e di operare. Per lui era un’occasione di crescita ed è stato così, perché ha fatto lui tutto l’intervento aiutato da me».
L’operazione si è conclusa con successo, quindi?
«Sì l’aneurisma è stato risolto e il paziente è già stato dimesso. Successivamente lo abbiamo preso in cura noi, a Treviso, per altre due lesioni distali da sistemare, ma il peggio è passato».
È la prima volta che l’elicottero si alza per portare il chirurgo dal paziente e non il contrario?
«No, due medici della nostra équipe hanno raggiunto Conegliano in volo poche settimane prima. Credo che ci sia anche un caso in ginecologia».
Al di là del caso specifico, cosa rappresenta questa novità? La decisione è arrivata all’improvviso e in circostanze estreme, ma è immaginabile che possa diventare un nuovo modello di sanità?
«In America già lo fanno. La premessa è che l’équipe chirurgica si possa spostare senza mettere in crisi il proprio reparto. Poi, sul posto, dev’esserci un gruppo chirurgico residente che conosca le metodologie di intervento degli specialisti. In ambito Veneto questo è possibile, in virtù delle convenzioni ci sentiamo quasi quotidianamente. Questa conoscenza reciproca consente ai colleghi residenti di preparare il paziente in sala operatoria per evitare di perdere tempo. Infine serve la disponibilità del Suem, che nel nostro caso è stata ottimale, e dell’amministrazione».
Questo modello va in direzione opposta a quanto si è fatto finora, ma comporta diversi vantaggi, sia in termini di costi che per i pazienti, specie per chi vive in montagna. State pensando di replicarlo?
«Per ora ne stiamo solo parlando. Si tratta di un metodo di lavoro che rovescia quello attuale ma, soprattutto in un’ottica di area vasta, andrebbe valutato seriamente e organizzato al meglio, perché può aiutare davvero la gente. È chiaro che comporta dei rischi, ma l’organizzazione che abbiamo su Belluno e Feltre ci consente di realizzare in loco qualsiasi intervento. Io credo che sia una buona idea accentrare specialisti e tecnologie per alcune patologie particolari e poi spostare le équipe al posto dei pazienti».
Cosa prevedono le convenzioni e da quanto esistono?
«Dal 2013 Treviso presta agli altri ospedali convenzionati consulenza (discutiamo insieme i casi, li valutiamo e facciamo ambulatorio) e attività chirurgica. A Pieve di Cadore facciamo le fistole per la dialisi. A Feltre abbiamo iniziato nel 2000, poi si sono appoggiati a Trento per dieci anni, ma con la presidenza Zaia si è deciso di riportare tutte le convenzioni in ambito regionale. In generale ci mettiamo a disposizione delle Usl che chiedono collaborazione».
Ma la chirurgia vascolare di Treviso non ne soffre?
«Forse servirebbe un gruppo più ampio. Attualmente siamo in 7, molti dei quali autonomi in sala operatoria, e copriamo l’intero bacino sia per l’attività elettiva che per le urgenze. Bisogna decidere se vale la pena di trasferire questa esperienza in un modello almeno sperimentale e capire come si può organizzare nell’arco della settimana. Noi siamo disponibili».
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