Il primario: «Dobbiamo solo usare la mascherina. I pazienti ora guariscono prima»

Renzo Scaggiante, Malattie infettive del San Martino, è cautamente ottimista. «I ricoverati sono delle case di riposo»

BELLUNO

«L’unica cosa che si doveva fare sin dall’inizio e che dobbiamo continuare a fare è mettere la mascherina. Io ho visitato centinaia e centinaia di pazienti positivi nelle loro stanze dopo una notte in cui avevano tossito e dove il virus circolava senza problemi, ma grazie alla mascherina non mi sono contagiato. E lo stesso vale per gli altri medici e per tutto il personale sanitario che lavora nei reparti Covid. Con la mascherina non ci si contagia, per cui usiamola».

A dirlo con forza invitando i bellunesi a seguire questo consiglio e ad abbassare i toni dell’allarmismo è il direttore dell’unità operativa di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Belluno, Renzo Scaggiante. Lo troviamo nel suo studio anche al sabato, a seguire i tanti pazienti positivi al virus che ormai affollano il suo reparto, ma non solo. E da lui arriva una testimonianza di speranza sulla gestione del Coronavirus.

Dottor Scaggiante com’è la situazione nel reparto, in questo momento?

«In Malattie infettive siamo pieni, anche in Pneumologia sono abbastanza pieni. Tra questi reparti e Geriatria, Medicina e ospedali di comunità abbiamo tra gli 80-90 ricoverati, circa 5-6 al giorno in media, ma rispetto a marzo e aprile scorsi riusciamo a mandare a casa più pazienti. La gravità della patologia sembra inferiore. Benchè man mano che dimettiamo le persone, ne arrivano altri, non vedo una grande quantità di positivi da ricoverare. Per fortuna i degenti della Terapia intensiva sono pochi (4) rispetto ai 10-15 di marzo».

Ma da dove arrivano tutti questi ricoverati?

«Abbiamo avuto il problema delle case di riposo della parte alta della provincia dove ha iniziato a circolare il virus tra gli ospiti ma anche tra gli operatori. E quindi abbiamo accolto qui molti anziani dagli 80 ai 100 anni».

Giovani ce ne sono?

«Per fortuna le persone giovani ricoverate sono pochissime e si tratta perlopiù di soggetti con neoplasie e patologie cliniche importanti. Se ci sono dei giovani contagiati sono asintomatici. E questa è la vera fortuna: se a fronte di tantissimi tamponi che vengono eseguiti troviamo un 10-15% di positivi, la stragrande maggioranza non presenta sintomi. E questi in 10 giorni sviluppano gli anticorpi e non saranno più contagiosi. Abbiamo avuto anche dei colleghi positivi che sono guariti e nessuno ha avuto problemi».

Come si spiega questo minore tempo di guarigione?

«Rispetto all’inizio abbiamo messo a punto una terapia da seguire e siamo più attenti e precisi. E anche se di fronte ai virus, tra cui rientra anche il Covid-19, l’unica cura è il nostro sistema immunitario, dalla lettura dei meccanismi patogenetici della malattia e dalla pratica clinica, è emersa l’efficacia di farmaci antinfiammatori come i cortisonici da usare in anticipo rispetto alla comparsa di significativi sintomi polmonari, poi ci sono i farmaci per prevenire le trombosi, l’ossigenoterapia e il Remdesivir. Tutte queste cose messe insieme fanno sì che uno guarisca. Inoltre anche i medici di famiglia vedono la sintomatologia prima che uno venga debilitato e quindi si passa alla terapia rapidamente».

Come siete messi a personale?

«Beh, stiamo gestendo un numero doppio di pazienti con lo stesso numero di personale di un’attività normale. Siamo riusciti a prendere una dottoressa per 6 mesi e speriamo resti ancora. Purtroppo quello della carenza di medici specialisti è un male annoso. Già nel 1999, quando ero ancora a Padova, avevo scritto al dg perché avevano ridotto i posti in Malattie infettive e lo avevo invitato a non farlo perché, se uno guarda la storia, le malattie infettive sono come i terremoti che periodicamente tornano e bisogna prepararsi per tempo. Non si capisce ancora che per avere un medico formato servono dieci anni. E invece di far ricorso ai pensionati che sono tra l’altro categoria fragile, perché non utilizziamo i giovani studenti brillanti e pieni di energie?».

Qual è lo spirito oggi per voi operatori rispetto a marzo?

«È buono, sappiamo che supereremo anche questa fase che, a mio parere sarà più corta della precedente. Ma deve arrivarci un po’ di aiuto, soprattutto per quanto riguarda il personale. Dobbiamo pensare che tutti noi, medici e personale sanitario, possiamo diventare pazienti e vogliamo qualcuno che ci curi adeguatamente».

Cosa fare per contenere l’epidemia?

«Sono contrario alle chiusure per contenere il virus, come non si potrà più a lungo eseguire tamponi su tutti, compresi i contatti dei positivi. L’unica soluzione valida è usare la mascherina. E come hanno fatto in Cina ad un certo punto credo che anche qui i contatti dei positivi non saranno più testati, ma verrà detto loro di tenere la mascherina e seguire la quarantena come se fossero contagiati. Il tampone usiamolo solo per i sintomatici. Non possiamo bloccare le Microbiologie, come sta succedendo ora, per esaminare solo i tamponi Covid, perchè rischiamo di avere un’alta mortalità per altre patologie che non sono sparite in questi mesi come le sepsi o le meningiti. Pensare solo al Covid, per un infettivologo è un’aberrazione. Ci vuole equilibrio. E lo dico perché in 30 anni ho visto di tutto». —

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