Il rifugio Pian dei Fiacconi sarà demolito
ROCCA PIETORE
«Nei prossimi giorni persone fidate e oneste apriranno un conto dove ognuno potrà dare in aiuto ciò che può. Qui in questo rifugio c’erano vent’anni anni di vita di Guido. Il mio regalo di Natale sarà per lui e nei prossimi giorni vi darò il link del conto se vorrete dare un aiuto... Grazie di cuore» . A lanciare la prima sottoscrizione per ricostruire il Rifugio Pian dei Fiacconi è Carlo Budel, la “sentinella della Marmolada”, che trascorre tutte le estati nella capanna di Punta Penia. E da quote inferiori di questa cima che si è staccata la slavina che ha distrutto il “nido d’aquila” di Guido Trevisan.
«Una sottoscrizione? Ringrazio Carlo per l’idea e i tanti altri che in queste ore stanno solidarizzando. Probabilmente si organizzerà una raccolta di fondi, su suggerimento anche del Cai e del Soccorso alpino, perché, come mi hanno spiegato, un rifugio alpino non appartiene solo al proprietario».
Nei prossimi giorni Trevisan metterà a punto la macchina organizzativa, rispondendo anche a quella che è un’esigenza solidaristica pure di altre realtà, a cominciare dalle associazioni ambientaliste che di Pian dei Fiacconi avevano fatto il loro punto di riferimento. «Il primo rifugio è stato costruito nel 1947, io ci sono da 20 anni. Vi ho investito un milione di euro. E non ho ancora finito di pagare in banca. Questa tegola sulla testa proprio non ci voleva».
Trevisan è ancora sotto choc. Non ha deciso che cosa fare, ma sicuramente andrà avanti. Si trova nella condizione di dover anzitutto trovare i soldi per demolire quanto è rimasto in piedi, ma che è instabile, portarlo a valle e bonificare tutta l’area. Una spesa non inferiore ai 200 mila euro. E poi la ricostruzione.
Da un anno il gestore si prende cura anche del rifugio “Ghiacciaio della Marmolada”, che sta a un piano di sopra, a 30 minuti di salita. «Lo userò quest’estate come possibile alternativa, direi come “parcheggio”, perché i numerosi amanti di questa montagna devono pure trovare un punto di appoggio» .
Ma l’edificio è più piccolo del Pian dei Fiacconi. La slavina, fortunatamente, l’ha solo lambito. «Non so che cosa sia effettivamente accaduto. So», racconta Guido, «che dal 6 dicembre ho perso il contatto elettronico, video in particolare, con il rifugio, quindi la valanga risale probabilmente a quel giorno. La montagna sopra è priva di neve. Ne aveva più di due metri, quindi vuol dire che è venuta giù tutta, per un fronte di 600 metri».
Quando, l’altro ieri, Trevisan è salito ha trovato mezzo metro di neve fresca. Fatto che conferma, a suo avviso, quanto fosse precedente la slavina. Il rifugio era chiuso, doveva riaprire per la stagione dello scialpinismo. D’estate vi lavorano ben sei persone. «Nulla, proprio nulla è recuperabile», spiega Guido, «perché metà è stato distrutto, l’altra metà è da demolire. Camere e dispensa, nei locali superiori, non ci sono più; il tetto che è finito sopra quello della sala, sfondandolo. La parte esterna che sembra essere stata risparmiata, dentro è un macello. I muri sono stati spostati di dieci centimetri, solai e pavimenti hanno ceduto, i muri sono pieni di crepe». —
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