Il silenzio delle donne vittime della violenza

In provincia i casi di abusi, maltrattamenti e stalking sono costanti Ma il pm Gallego avverte: «Attenti perchè il sommerso è imponderabile»
Di Cristina Contento
Il procuratore Domenico La Bozzetta va in pensione
Il procuratore Domenico La Bozzetta va in pensione

BELLUNO. Perseguitate da marito, convivente o ex. Il “mostro” è in casa, la violenza è fisica e psicologica e colpisce donne bellunesi quanto straniere. E dietro un velo non si vedono neanche gli occhi neri. Gli ultimi casi? Una donna violentata due volte dalla stessa persona, lo stalker albanese che ha patteggiato la prima volta e, uscito, è tornato alla carica con la sua vittima.

Anno 2013: il fiume sommerso della violenza sulle donne è più gonfio che mai, risucchiato nelle grotte carsiche di un welfare claudicante e al verde.

Un silenzio criminale. Si arriva a non denunciare perchè si preferiscono le botte al possibile tetto di stelle; si è costretti a spostare fuori provincia le vittime di stalking o maltrattamenti perchè sul territorio è sempre più difficile trovare alloggi protetti: non ci sono i soldi e le associazioni esistenti fanno il salto a ostacoli per un semplice traguardo di civiltà.

Il pianeta violenza sulle donne in provincia non ha visto femminicidi recenti: ci si "limita" a una decina di violenze sessuali l'anno, maltrattamenti e stalking. Un «trend costante in provincia», spiega il sostituto procuratore Roberta Gallego, che fa riferimento alle denunce che arrivano sul suo tavolo. Il pubblico ministero avverte subito, però: «Il sommerso è imponderabile».

I dati ufficiali indicano dalle 5 alle 10 violenze sessuali all'anno, una settantina di casi per maltrattamenti in famiglia e tra 100 e 150 casi di stalking. Sono le denunce, di donne che subiscono abusi, violenze psicologiche: «Questi sono i dati del 2012. E da un anno all'altro le cose non cambiano: in provincia femminicidi non ce ne sono stati ultimamente, ma nei confronti delle donne la situazione è comune a tutta Italia».

L'ultima emergenza ha nome stalking dal punto di vista penale, ma in numeri si vede di più, rispetto alle altre fattispecie, solo perchè quando arriva in aula di tribunale, il tipo di reato è più facilmente identificabile e più semplice da provare. «Negli anni precedenti c'erano più denunce per stalking», precisa comunque Gallego, «ora ci troviamo davanti a una leggera flessione forse perchè si è anche un po' più affinata la valutazione della polizia giudiziaria rispetto ai primi anni di applicazione della legge».

Nonostante la scremata che diversifica lo stalking vero e proprio da violenze private o molestie, proprio perchè il reato è "tracciabile", forse emerge numericamente di più. I maltrattamenti sono sempre infradomestici, spesso si fondano su testimonianze di familiari; lo stalker che manda fiori, pedina e telefona di notte, invece, lascia "impronte": «Fornisce imput tangibili, si può provare più facilmente».

Ma la realtà è che ancora oggi si è alla punta di un iceberg. «C'è molto sommerso» ribadisce Roberta Gallego: «Le donne hanno molta paura di restare in una situazione che non abbia una via di uscita anche dopo la denuncia. Ci sono poi valutazioni economiche che pesano in determinate condizioni e che non vengono sottovalutate dalle donne che subiscono abusi: è più difficile allontanarsi da casa se non si hanno i soldi e l'autonomia finanziaria per allontanarsi da chi ci fa del male. E i servizi sociali fanno quel che possono con le risorse che hanno».

«Se hai una situazione di sistematica sopraffazione fra le mura domestiche preferisci tacere. E vediamo che, paradossalmente, i casi che si risolvono meglio e prima, sono gli stupri e le violenze sessuali: perchè è difficile convivere con questi tipi di abusi, esserne al centro, e dunque le donne sono più propense a modificare la propria situazione di sofferenza. Ma rispetto allo stalking e ai maltrattamenti in famiglia, spesso ci si adatta, spesso si continua a convivere con il proprio aguzzino, perchè ci si rassegna, ci si rende impermeabili a determinate sofferenze e si sopporta. C'è da dire, poi, che non sempre abbiamo la collaborazione delle parti offese e nel percorso processuale e giudiziario spesso sono le vittime a cambiare versione: questo spesso porta ad assoluzioni o esiti dei procedimenti diversi dalle attese».

Da non sottovalutare poi il fatto che «Purtroppo ci si trova ancora davanti a un approccio autocolpevolizzante delle donne che in ogni caso si sentono responsabili e colpevoli di quanto subiscono, anche davanti alle violenze più feroci, maltrattamenti, da semplici dispetti a condotte sadiche».

Non sempre si arriva all'esito giudiziario sperato, ma di quanto giunge a processo un buon trend si chiude con la “giustizia”. Anche «la percezione sociale è diversa dalla percezione giudiziaria e spesso i riscontri probanti sono divergenti: il reato di maltrattamento prevede una unilaterale sopraffazione per essere perseguito giuridicamente e non sempre in famiglia le testimonianze sono chiare e certe: gli episodi avvengono davanti ai bambini, con tutto quel che ne deriva».

Dal punto di vista sociale le cose non vanno bene nonostante gli sforzi delle associazioni che si muovono sul territorio. Il servizio Belluno Donna “è all'osso” senza denari. Dafne è un'altra spalla, poi Telefono rosa: ma è come muoversi nel deserto.

Quanto ad «accoglienza e aiuto esterno, soffrono il passo in questo periodo di ristrettezze economiche: purtroppo a Belluno c'è poco associazionismo del genere per sensibilizzare il territorio non è che ce ne siano molte. E anche le strutture di accoglienza sono sempre meno, al punto che per l'affidamento di donne vittime di questi abusi, spesso non ci sono soldi per mantenere gli appartamenti». Gli ultimi ausili sono venuti da strutture come quelle a Cairo Montenotte (Savona); c'erano anche le suore in provincia di Belluno ma le ultime donne si è avuta difficoltà a sistemarle se non fuori provincia. Insomma: «La gestione del dopo spesso è quasi peggio della sopportazione del prima. Non ci sono strumenti nel sistema del welfare per occuparsi di cose così importanti».

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