Il sociologo Cason: «Nelle imprese mancano seimila addetti»

Poche chiacchiere, taglia corto Diego Cason, sociologo. «Ben vengano i bonus, gli asili nido, tutto quanto si può immaginare a sostegno delle coppie. Meglio tardi che mai. Ma i risultati li vedremo solo fra 20 o 25 anni».
Lo spopolamento, però, è già in atto?
«Alle nostre imprese mancano tra i 4 ed i 6 mila attivi, cioè persone tra i 15 ed i 65 anni in grado di sostituire i pensionandi. Quindi non ci sono incentivi che tengano».
Per evitare che queste imprese chiudano che cosa bisogna inventarsi?
«Dobbiamo far arrivare almeno 4-5 mila famiglie di lavoratori, italiani o stranieri che siano. Altrimenti le nostre aziende saranno costrette progressivamente a chiudere».
Sarà un’invasione…
«Lo immaginano quei bellunesi che, pieni di paura, non pensano a quale sia il loro destino. I servizi saranno sempre meno, le scuole periferiche chiuderanno, gli ospedali pure. Le famiglie più giovani scenderanno a valle e, se va bene, tanti paesi si trasformeranno in piccole geriatrie».
Non trova di essere troppo catastrofico?
«No, realista. Ma lo sa che Gosaldo dal 1961 ha perso il 78% della popolazione e Sovramonte il 72%? Continuo con gli altri Comuni? Quello che fa imbestialire è che già dal 1994, l’anno di più grave decrescita, sappiamo che questo sarebbe stato il nostro destino se non avessimo fatto inversione di marcia. Se in quegli anni la politica avesse introdotto qualcuna delle misure che oggi immagina (ma non ancora applica), forse oggi staremmo un po’ meglio. La barca, insomma, è già affondata».
Citava la scuola. Le chiusure sono irrimediabili?
«La decrescita delle superiori è in corso da 6 anni, quella delle medie da 9, da 14 le elementari».
Fra quanti anni scenderemo sotto la soglia dei 200 mila abitanti?
«Siamo già al di sotto. 13 mila residenti sono stranieri, senza cittadinanza italiana».
È vero che per invertire la tendenza sarebbe utile prolungare l’A27?
«Ha presente quanto succede quando stappa la vasca da bagno? Accadrebbe lo stesso con l’allungamento dell’autostrada: agevolerebbe la fuga dalle valli».
Meglio investire negli asili nido o nei bonus-bebè?
«Ci vuole ben altro. Che cosa fa una nostra lavoratrice che dopo 8 ore di fabbrica e di ufficio va a casa ed ha due o tre bambini da assistere, magari anche i genitori anziani e il marito per cui far da mangiare e stirare? Può bastare il contributo per figliare? No, sono indispensabili i servizi, anzitutto quelli essenziali. Una giovane famiglia se non può contare sulla scuola, sul trasporto pubblico, sulla farmacia, sulla posta; se una famiglia trova difficoltà nell’assistenza sanitaria, è evidente che scende sempre più a valle. D’altra parte mi rendo ben conto che le istituzioni non possono investire in servizi se manca popolazione che ne usufruisca».
Quindi non c’è futuro per questa provincia?
«Dobbiamo trovare il coraggio di scelte rapide e radicali. Per esempio, evitare la colonizzazione. Un ettaro di vigneto della nostra valle del Piave costa 40 mila euro, mentre un ettaro trevigiano coltivato a Doc valga 150 mila e un ettaro a Docg 175. È evidente che con prezzi come questi saremo invasi dagli investitori trevigiani. Un ettaro per frutteti da noi vale 30 mila euro, nel Quartier del Piave tre volte tanto. Ecco perché la nostra provincia ha solo 1900 aziende agricole, il vicino Trentino Alto Adige 20 mila». —
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