Il sospettato è Jhon Freddy ma gli inquirenti non parlano

SANTIAGO DE CALI. Il sospetto è Jhon Freddy. Sarebbe stato questo colombiano di mezza età a uccidere o far uccidere Emanuele Martini. Ma mentre la polizia sta indagando sull’omicidio dell’8 giugno, a...

SANTIAGO DE CALI. Il sospetto è Jhon Freddy. Sarebbe stato questo colombiano di mezza età a uccidere o far uccidere Emanuele Martini. Ma mentre la polizia sta indagando sull’omicidio dell’8 giugno, a Santiago de Cali, non è tenuta a informare l’ambasciata italiana. Ecco perché i diplomatici di Bogotà non sono in grado di tenere aggiornata la famiglia del 44enne tassista originario di Mel, sull’arresto dei giorni scorsi. Nessuno conferma niente, nessuno è in grado di dire cosa stia succedendo negli uffici della Fiscalia, la procura della Repubblica. Neanche se l’arrestato sia stato interrogato.

Senz’altro è lui quello che il 16 dicembre di due anni fa aveva aggredito Martini, rendendolo cieco da un occhio con la canna di una pistola. Ed è lui quello che è stato denunciato nell’immediatezza del fatto da Martini e nei giorni scorsi dalla sua fidanzata Diana. Bisognerebbe cominciare a capire se Freddy sia accusato di essere il mandante dell’assassinio al semaforo della Calle 73, nel quartiere orientale di San Luis, oppure l’esecutore materiale. L’omicida è arrivato a bordo di una motocicletta e camuffato da un berretto rosso, ha scaricato otto colpi su Martini, uno dei quali l’ha colpito alla testa, rendendo vana la corsa al vicino ospedale Joaquìn Paz Borrero.

Sono passate più di tre settimane dall’omicidio e la prassi degli inquirenti colombiani sembra quella di aspettare una decina di giorni, prima di far partire una vera e propria inchiesta. Nello scorso fine settimana, era stata proprio Diana a informare Martina Martini dell’arresto di questo J.F., con un messaggino verso l’Italia. Nel frattempo, l’avvocato incaricato Antonio Ariano ha tenuto tutti i contatti possibili con la diplomazia italiana in Sudamerica: «Mi hanno risposto, dicendomi che non possono dirci niente, nel senso che non hanno conferme, ma non c’è niente di strano, in tutto questo», osserva Ariano, «è il loro modo di lavorare: non sono tenuti a dire niente e allora non ci rimane che aspettare comunicazioni ufficiali». L’altro canale è un confronto direttamente con la polizia. (g.s.)

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