Il trans che rovinò un operaio fa appello

FELTRE. Il trans Alessia spenna un operaio. Ma adesso fa appello. Massimo Liguri è stato condannato dal giudice Coniglio a due anni e tre mesi di reclusione, più mille euro di ammenda e al pagamento...

FELTRE. Il trans Alessia spenna un operaio. Ma adesso fa appello. Massimo Liguri è stato condannato dal giudice Coniglio a due anni e tre mesi di reclusione, più mille euro di ammenda e al pagamento delle spese processuali, per l’accusa di circonvenzione di incapace nei confronti di un feltrino. Azzerato il conto con 30 mila euro e spariti i gioielli di famiglia per circa 3 mila, che saranno poi ritrovati in un Compro oro.

Il suo difensore Tiziani ha letto le motivazioni della sentenza e deciso di rivolgersi alla Corte d’Appello di Venezia, per chiedere l’assoluzione perché il fatto non sussiste, male che vada il minimo della pena con la condizionale. Secondo il legale, non è stata dimostrata l’incapacità della vittima. A questo proposito, c’è stata solo una perizia da parte dell’accusa, affidata al dottor Polo. Non ci sono testimoni che possano dire di aver visto i due in macchina o al bancomat a fare prelievi da 250 euro per volta e Alessia non conosceva il codice segreto della tessera. L’unica voce contro Liguri, insomma è quella dell’operaio.

La vittima del raggiro e la sedicente Alessia si erano conosciuti nel 2009 in una chat. All’inizio, i due si scrivevano una volta a settimana, ma presto si è passati agli incontri, in un parcheggio di Sedico. Il trans chiede soldi per pagare dei debiti oppure per fare la spesa quotidiana, richieste che vengono sempre soddisfatte, prelevando l’importo al bancomat più vicino. Il conto si prosciuga e si passa ai gioielli, con un ricatto: «Se non li vendi, racconto a tua madre che hai fatto sesso con me e sono ancora minorenne». Non solo era un uomo, ma anche maggiorenne. Si arriverà alla stima della macchina e al sequestro del certificato di proprietà. Su quel veicolo era ancora in corso il pagamento a rate e il bene non viene venduto. È stata la sorella della parte offesa a denunciare un furto nella casa della madre. Nessun segno di scasso, ma sospetti sul congiunto che risultava in gravi difficoltà economiche pur lavorando in un’azienda importante e con uno stipendio dignitoso. Nel processo di primo grado, c’è stata una condanna, ma ci sarà l’appello.

Gigi Sosso

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