Il vescovo Giuseppe Andrich «Non stacchiamoci dalla roccia»
LORENZAGO. Il cardinale Parolin ricorda quanto san Giovanni Paolo II fosse innamorato delle montagne, delle crode del Cadore. E monsignor Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno Feltre coglie l’occasione per ricordare al più diretto collaboratore di papa Francesco che anche le Dolomiti presentano tutti i rischi di una periferia. «Quando era prete papa Luciani ha insegnato anche a me (allora ero piccolo), molte cose e la sua espressione tipica era questa: “non stacchiamoci dalla roccia”. Lui aveva come punto di paragone tutto l'attaccamento che la nostra terra di montagna ha per il suo habitat. Abbiamo una terra che si spopola. Abbiamo però la forza e la tenacia di sperare».
Andrich insieme a monsignor Agostino Gardin, vescovo di Treviso, ha salutato il cardinale Pietro Parolin rifuggendo dalle parole di circostanza. Come, peraltro, non le aveva usate il segretario di Stato Vaticano. «Ci auguriamo tutti di essere condotti, attraverso queste cose tanto splendide, all'invisibile, ad elevarci verso il cielo, ad attingere la luce vera che illumina ogni uomo, affinché tra le vicende del mondo, là siano fissi i nostri cuori, dove è la vera gioia. È Cristo la vera gioia». Parolin ha tratteggiato la figura e l’opera di Giovanni Paolo II definendolo in particolare il papa della famiglia. Ma soprattutto ne ha fatto memoria per il suo rapporto con le Dolomiti, il Cadore. «Giovanni Paolo II amava questo luogo perché qui incontrava Dio. Nel silenzio, nella contemplazione e nella preghiera poteva non solo riposarsi fisicamente, ma trovare momenti per pensare alla sua vita spirituale, a Cristo e alla santa Chiesa». E il santuario a cielo aperto, a lui dedicato, è «un segno santo, che si unisce alla bellezza di questi luoghi meravigliosi che cantano della bontà di Dio e che immagino e spero sarà meta di innumerevoli pellegrini». È quanto ha detto d’augurarsi anche il vescovo di Treviso, Gardin, sottolineando fra l’altro che la canonizzazione di Giovanni Paolo II ha fatto sì che davvero il ricordo a Lorenzago e in Cadore di Giovanni Paolo II «diventasse ancora più vivo, intenso e bello».
Una memoria, ha auspicato il presule trevigiano, che rimanga ancora a lungo in queste terre. «Siamo contenti – ha risposto sua eminenza - ma dobbiamo sentirci anzitutto chiamati alla responsabilità, perché ogni volta che onoriamo un santo noi siamo chiamati a ripercorrerne, ciascuno alla sua maniera, le vie, i cammini e le strade».
Infine una parola di speranza, da parte sua. «Nonostante ci siano tante nuvole nella vita, il sole torna a splendere. Allora dobbiamo trovare il coraggio di affrontare insieme, con l'aiuto di coloro che ci hanno preceduto nella fede, le nostre vicende, i nostri problemi, individuando sempre un cammino nella vita, anche di fronte alle tante difficoltà». (fdm)
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