Il vescovo: «I bellunesi sono comunità Hanno saputo rialzarsi in piedi»
«Alziamo la voce… Alziamo la testa». Ecco il sogno del vescovo Renato Marangoni. E il sogno che il vescovo augura a tutti i bellunesi, anzitutto a coloro che sono stati colpiti dal maltempo. «La gente sta chiedendo accoratamente il diritto di essere comunità» sottolinea il vescovo, osservando che, purtroppo, non sempre la stessa gente trova ascolto.
Lei, nel messaggio di Natale, ha augurato un sogno ai bellunesi. Il suo qual è?
«Il mio sogno è quello che ho augurato a chi abita questo territorio condividendo una trama di vita che ci accomuna e che possiamo rappresentare con quell’“Alziamo la voce… Alziamo la testa…” che è successo dopo quel fatidico 29 ottobre. Ho volutamente citato la bella canzone che i 50 artisti locali ci hanno consegnato alcuni giorni fa con un video che penso abbia toccato il cuore di tutti. Mi permetto di notare – per me è molto indicativo – che il motivo dominante della canzone coincide con quanto avevamo indicato all’inizio dell’anno pastorale come atteggiamento da assumere e da tradurre in stile di vita per le nostre comunità: “Alzare lo sguardo”! Questo è anche il “mio” sogno».
A due mesi dalla grande tempesta, la montagna bellunese non è più in ginocchio. Questa forza di reazione come andrebbe impegnata su altre “frontiere”?
«Fa molto pensare quello che è avvenuto. Il rialzarsi in piedi non era scontato, eppure c’è stato. Ho compreso una cosa soprattutto: la gente ha un legame profondo e viscerale con questa terra di montagna. Il corpo delle persone è anche questa terra, la montagna, i boschi, le valli, il cielo, le frazioni, i paesi. A volte può sembrare che questa appartenenza non sia abbastanza creativa, intraprendente, estroversa. Ma c’è, ed essa tiene, è profonda. Su questo ora occorre “lavorarci” per liberare questa energia sottotraccia e farla diventare più progettuale».
Il 29 ottobre abbiamo visto risvegliarsi il meglio di questa gente…
«È vero, abbandonando timori, incertezze, torti, malumori, spesso dovuti a inadempienze riscontrabili nei rapporti che la realtà della Regione, dello Stato, di altre istituzioni e la stessa azione politica non hanno abbastanza curato con questa terra, a volte un po’ tradendo gli impegni assunti. Queste realtà spesso rischiano di non “ascoltare” in profondità il vissuto della popolazione e delle comunità locali. La gente sta chiedendo accoratamente il diritto di essere comunità».
Sulle nostre montagne abbiamo visto paesaggi quasi apocalittici. Per la loro rinascita che cosa auspica?
«Per una rinascita di questo nostro ambiente, io auspico che sia data la possibilità di coinvolgere la popolazione, di rilanciare le comunità locali, di attivare una partecipazione reale che contrasti ciò che in grande sta succedendo nelle piazze della politica, dove mi pare si stia diseducando la gente a pensare per davvero, a prendere in mano la propria vicenda di vita, a saperla intrecciare con quella altrui e nei suoi risvolti sociali, ecologici e politici. Ogni leader e chi ha compiti di autorità devono sapersi limitare per sviluppare l’intesa tra le persone verso cui hanno responsabilità».
Quali dovranno essere le linee guida della rinascita?
«Auspico che si ritrovi un rapporto di cura vicendevole tra quello che chiamiamo “natura” e ciò che convenzionalmente definiamo “cultura”. Quando parlo di “cura” intendo un progetto e una azione che rimettano in discussione l’incidenza del mercato e di una certa strategia economica sulla condizione di vita delle nostre montagne».
In che modo va contrastato lo spopolamento? È ineluttabile?
«Quando si parla di spopolamento io penso subito al tessuto relazionale che è necessario alimentare, spesso correggere e soprattutto promuovere. Senza accompagnare la crescita della bontà e bellezza del formare comunità, non si riuscirà mai a creare un fattore positivo che orienti altrimenti il fenomeno dello spopolamento. Occorre affezionarsi gli uni agli altri».
Affezionarsi gli uni agli altri? Un bel dire…
«In questi ultimi tempi si è alimentato un atteggiamento previo di illusoria sicurezza favorendo il sospetto e la presa di distanza gli uni dagli altri. Si rischia di evidenziare la figura di chi non ci appartiene, ci è estraneo, di chi costituisce un pericolo alle nostre individualità… Occorre ritrovare il gusto di essere gli uni con gli altri».
Ammetterà che c’è anche un problema di denatalità.
«C’è nello spopolamento una componente più strutturale legata alla denatalità e all’avvicendarsi delle generazioni e c’è anche qualcosa che si deve assumere come dinamica di cambiamento. Ci sono logiche di sussidiarietà da incentivare. Le istituzioni pubbliche devono alleggerire il carico burocratico e favorire processi più generativi. Insomma ricomporre la società civile è il presupposto per ricomprendere il fenomeno dello spopolamento che attualmente sembra desertificare frazioni e paesi di montagna».
Contro la desertificazione delle terre alte, la Chiesa di Belluno-Feltre farà da anima del “patto per il welfare”.
«La Chiesa ama questo territorio e farà il possibile per dare il suo contributo di ispirazione, di azione, di sostegno in questo Comitato d’Intesa territoriale. Impareremo a dare consistenza a questo progetto. Sarà soprattutto un esercizio di “comune azione” nel momento in cui si è tentati tutti di salvaguardare la propria particolarità. Questo gioco, che più volte è stato perseguito, fa morire il nostro territorio. Apprenderemo l’arte di vincere e far vincere questa tentazione diabolica (che divide)» . —
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