Il vescovo: «Immigrazione, stop slogan. Ma alle leggi si obbedisce»

Corrado Pizziolo è presidente nazionale ad interim della Caritas: «I missionari li aiutano a casa loro, ma a volte i profughi sono costretti a fuggire»
ferrazza agenzia foto film motta di livenza messa santuario con vescovo
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«Il problema dell’immigrazione è una questione molto seria che non va affrontata a colpi di slogan». Così monsignor Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto (e quindi anche di Mel, Trichiana e Lentiai) e neopresidente nazionale della Caritas. Il quale ammette, ovviamente, il diritto all’obiezione di coscienza, ma che in linea generale «le leggi non vanno disobbedite», bensì migliorate in Parlamento.

Come porterà avanti il nuovo impegno che, da tradizione, non è solo ad interim?

«Tengo a precisare che l’incarico è “ad interim”, cioè fino a maggio, quando nell’assemblea della Cei sarà votato il nuovo presidente della commissione episcopale “Carità e salute” e quindi sarà eletto anche il nuovo presidente della Caritas nazionale».

In ogni caso, che cosa intende fare in questi mesi?

«Vado ad inserirmi nel cammino e nelle scelte che la Caritas fino ad oggi ha compiuto. Non intendo portare dei grandi cambiamenti. Penso di inserirmi in questo lavoro, portando il mio contributo secondo le mie capacità».

La sua nomina arriva nel momento più delicato, sociale e politico. Sulla base della lunga esperienza della Chiesa diocesana di Vittorio Veneto, quali riflessioni sta maturando sulle ultime vicende dei profughi?

«Il momento è delicato, ma non mi pare sia più delicato di altri frangenti che la società italiana ha vissuto in questi ultimi anni. Mi pare di poter dire che il problema immigrazione è una questione seria, che non va risolta a colpi di slogan, del tipo “tutti dentro” o “tutti fuori”. Credo, tra l’altro, che queste due posizioni estreme siano solo di pochi. Ritengo che si debba trovare pazientemente la strada, tenendo conto che la Caritas non è né il governo né lo Stato. La Caritas non può sostituirsi a essi, né considerarsi alternativa: essa offre le proprie ipotesi e anche un concreto aiuto che può diventare prezioso. Credo che la strada giusta sia quella del dialogo paziente».

L’obiezione di coscienza a misure come quelle del Decreto Sicurezza può essere una reazione giustificata, per lo meno comprensibile?

«Vivendo in uno stato di diritto, l’obiezione di coscienza è prevista in alcuni ambiti, cioè quando una persona sente che una legge la spingerebbe ad andare contro le proprie convinzioni più intime: morali o religiose. Va altresì ribadito che l’obiezione di coscienza prevede di essere disponibili a subire le sanzioni che la legge contempla. Dal mio punto di vista, credo che le leggi non vadano mai disobbedite, perché ci sono altre strade attraverso le quali si può giungere a migliorarle. Nel caso specifico, credo che l’iter da seguire sia quello del confronto con la Costituzione italiana».

Aiutiamoli a casa loro, si dice. La Diocesi lo ha fatto, con il vescovo Luciani, fin dagli anni ’60, in Africa e in Brasile. E continua a farlo con decine di missionari, tra cui alcuni vescovi. Dunque?

«"L’affermazione “aiutiamoli a casa loro” ha una sua verità. Non dobbiamo rinunciare a farlo. In altra occasione, facevo osservare che proprio su questo ambito tanti nostri missionari – preti e laici –, che si trovano in Paesi di povertà e di bisogno, danno un esempio splendido, da cui tutti dovremmo imparare. È bene ricordare che una parte dell’8 per mille, che la Chiesa Cattolica riceve, va proprio a finanziare progetti mirati ad “aiutare a casa loro” questi popoli».

Ma ci sono emergenze da cui le possibili vittime scappano, non hanno tempo di aspettare.

«Sì, ci sono delle situazioni in cui “aiutarli a casa loro” richiede tempi lunghi e condizioni complesse e ciò non permette di rispondere nell’immediato alle urgenze. Così le persone, che sono oggetto di violenza o in condizione di miseria, sono costrette ad andarsene. Il problema allora è come far fronte a questo reale e urgente bisogno. La stragrande maggioranza di quelli che rischiano la vita per attraversare il mare non lo fa per divertimento: tutt’altro. Ci vuole quindi uno sforzo comune per fare fronte a questa situazione… E per comune non mi riferisco solo all’Italia ma anche all’Europa, il cui contributo spesso rischia di apparire latitante e quindi giustificare atteggiamenti di rifiuto».

Anche in questa diocesi, tantissimi cristiani votano la Lega, quindi Salvini. Eppure la loro capacità di accoglienza è senza limiti; si pensi anche al volontariato. È difficile testimoniare la coerenza evangelica in terre come questa?

«Tanti cristiani vivono il rapporto con la questione “immigrazione” in maniera difficile e problematica. Come dicevo, non è una questione facile: dobbiamo riconoscerlo. Pertanto, dobbiamo fare attenzione a non essere troppo precipitosi nel dire chi è cristiano e chi non lo è o chi vive davvero il vangelo e chi non lo fa. Ho l’impressione però che tante volte alla base di queste reazioni problematiche ci sia un sentimento di paura e di allarmismo che non è del tutto giustificato. Allora, favorire la conoscenza per smontare certi pregiudizi e luoghi comuni potrebbe essere uno dei compiti propri della Caritas. Va anche ribadito il fatto che la Caritas non si interessa soltanto degli stranieri e degli immigrati, ma anzi la maggior parte dei suoi interventi è proprio a favore degli italiani..

In definitiva, qual è il compito della Caritas?

«Il compito della Caritas non è tanto quello assistenziale, bensì è guidato dalla preoccupazione di attuare una reale integrazione di queste persone nel contesto sociale». —



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