Il vescovo sceglie Stefano Perale per l’Ufficio della pastorale sociale e del lavoro: «Dialogo aperto con tutti»

Dal Patto per il Welfare al Patto per il Creato. La Chiesa di Belluno-Feltre scende in campo per moltiplicare il suo impegno sociale, oltre che pastorale. E la fa nominando un laico al vertice dell'Ufficio della Pastorale del lavoro
Belluno, 14 settembre 2006. all'assindustria la presentazione della nuova giunta. Stefano Perale
Belluno, 14 settembre 2006. all'assindustria la presentazione della nuova giunta. Stefano Perale

La nomina

Dal Patto per il Welfare al Patto per il Creato. La Chiesa di Belluno-Feltre scende in campo per moltiplicare il suo impegno sociale, oltre che pastorale. E la fa nominando un laico alla direzione dell’Ufficio diocesano di Pastorale sociale e del lavoro. Si tratta di Stefano Perale, fino al 2012 direttore di Confindustria Belluno, oggi consulente aziendale.

È la prima volta di un laico al vertice di un organismo così importante?

«Sì, delegato vescovile resta ancora don Mario Doriguzzi che, però, essendo parroco a Limana ha degli impegni pastorali gravosi. Inoltre è stato eletto nel Consiglio presbiterale».

Lei è sposato e ha figli.

«Con mia moglie Silvia abbiamo diretto la Commissione pastorale per la famiglie. Siamo inoltre impegnati nella parrocchia di Cusighe».

Quindi non è nuovo sulla frontiera della Chiesa. Quali compiti le ha affidato il vescovo Renato Marangoni?

«Di non alzare muri, ma di costruire ponti. Quindi dialogo aperto con tutti. Proprio con tutti. Ovviamente senza rinunciare alla nostra identità».

Che vuol dire lanciare ponti?

«Ascoltare. Ascoltare e ancora ascoltare. Umilmente la Chiesa rileva i bisogni della nostra gente, direttamente o attraverso le sue rappresentanze, e cerca di portare il proprio contributo».

Il Patto per il welfare, sottoscritto dalla diocesi, non è un impegno da poco.

«È una straordinaria opportunità di impegno condiviso. Adesso deve tradursi dalle carte sottoscritte alla realtà dei fatti. So che ci sono prossimi incontri. Quel poco (o tanto) di bene che possiamo fare insieme, dobbiamo farlo al più presto, perché le famiglie e le persone impoverite non possono aspettare».

Vi chiama in causa anche l’ambiente, con le ferite del maltempo.

«Mi lasci parlare di Creato, perché accanto agli alberi schiantati ci sono persone in sofferenza, comunità che s’interrogano sul loro futuro. Si tratta, come ha detto il vescovo, di dividere il mantello di San Martino, ma anche di ricreare fiducia. Vigileremo perché non si approfitti più del necessario della pazienza della gente».

Ma con quali prospettive?

«Pensiamo a un patto per il Creato, accanto ed in sintonia con quello del Welfare, perché le nostre valli, così belle e pure martoriate, tornino ad essere accoglienti della vita ospitando anzitutto opportunità di lavoro per i giovani. Che, lo dico sempre, non sono il nostro futuro, ma il presente. Un presente drammatico, a cui dobbiamo dare una risposta. Lavoro e residenza, quindi casa, specie per le giovani coppie. Altrimenti lo spopolamento sarà inarrestabile».

Ma lei che è consulente d’azienda, è convinto che ci siano imprese disposte ad investire sulle terre alte, cioè in periferia?

«Macché periferia. Il Creato assegna alle nostre Dolomiti una centralità unica. Se creiamo le giuste opportunità, stia sicuro che l’imprenditorialità si implementerà. A cominciare dall’autoimprenditorialità giovanile, sulla quale dobbiamo scommettere».

Lei, come laico, è stato scelto perché non ci sono più preti?

«No, perché la Chiesa crede nel ruolo effettivo dei laici. A coordinare la Caritas c’è un diacono permanente, ma è anche lui laico. Don Renato (il vescovo, ndr) crede molto nella specificità di questa figura, peraltro valorizzata dal Concilio». —

 

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