In pensione lo “storico” rsu dell’Ideal Standard
Dal primo gennaio prossimo Gianni Segat, delegato “storico” della Filctem Cgil all’interno dell’Ideal Standard, sarà in pensione. Con il suo ritiro se ne va sicuramente un pezzo di storia della fabbrica di Trichiana che produce ceramica sanitaria. Cinquantasei anni di età e 42 di attività, dal 1982 nella Filctem Cgil e dal 2000 delegato di fabbrica a Trichiana, Gianni Segat è sempre stato in prima linea nell’attività sindacale per salvare lo stabilimento bellunese, dove lavora dal 1979.
Una vita intensa anche dal punto di vista sindacale. Come è arrivato al sindacato?
«Devo tutto a mio papà, che purtroppo è mancato qualche mese fa, ma che per me è stato sempre un punto di riferimento. Lui era un delegato della Cisl e così quando qualcuno in fabbrica si è fatto avanti chiedendomi di iscrivermi al sindacato, io ho risposto semplicemente: “Qual è il sindacato in minoranza?”. Mi hanno detto la Cgil e così mi sono iscritto. Per inclinazione sono sempre stato dalla parte dei più deboli. Comunque, subito dopo ho avuto la prova che avevo fatto la scelta giusta».
Come è cambiata l’Ideal Standard e il ruolo della rsu in questi anni?
«Da fabbrica padronale, cioè in cui c’erano delle persone di riferimento vale a dire i proprietari dell’azienda, l’ex Ceramica è entrata a far parte di un gruppo multinazionale: prima Bain capital e poi dalla primavera di quest’anno dell’australiana Anchorage. E in questo cambio di proprietà è cambiato anche il ruolo del delegato di fabbrica: prima le rsu potevano confrontarsi direttamente con la proprietà e avere risposte immediate, ora invece ci sono degli intermediari e le risposte arrivano tardi. Quando sono arrivato io come delegato, il cambio era già stato fatto e quindi per me è stato difficile riuscire a risolvere anche gli aspetti più semplici della vita di fabbrica. E spesso ho avuto l’impressione di perdere anche la credibilità nei confronti dei lavoratori, soprattutto quando le risposte non arrivavano in tempi congrui. Oggi si fatica il triplo e i risultati sono la metà di un tempo. Questa situazione si è sempre più amplificata fino ad esplodere negli anni della crisi, dal 2008 in poi».
Nel 2008 in Ideal Standard si è temuto anche che si giungesse alla chiusura.
«Ci sono stati momenti drammatici in cui non si sapeva se ci sarebbe stato un domani. Ricordo l’annuncio della chiusura dello stabilimento di Brescia e la cassa per 300 persone a Trichiana. Ma dopo un anno di trattative siamo riusciti a salvare la fabbrica bellunese, che ha iniziato a investire sulla vetrochina con il rilancio del settore. Quando questo è accaduto ero delegato da 7-8 anni e fino ad allora avevo gestito soltanto la normale attività sindacale nello stabilimento. Trovarsi catapultato in una situazione del genere non è stato facile. Soprattutto non è stato facile dover assistere alla chiusura della sede di Brescia e al ridimensionamento del nostro stabilimento. È stata dura».
Cosa le ha dato la carica per superare questi momenti?
«Facendo parte anche del mondo del volontariato ho potuto conoscere negli anni molte persone, anche quelle che contano, e questi contatti mi hanno aiutato a fare sistema per salvare Trichiana. Importatissimi sono stati l’appoggio e la fiducia dimostrata dai lavoratori nei miei confronti per ben 18 anni. E non è poco. Un sostegno è venuto anche dalla Filctem Cgil che ha sempre creduto in me».
E ora com’è la situazione a Trichiana?
«Attualmente sono uscite definitivamente 23 persone, mentre restano in cassa una ventina. All’inizio si parlava di 120 persone con ammortizzatori sociali, ma alla fine saranno di meno. Attualmente si sta lavorando su quattro turni: c’è qualche difficoltà perché il sistema deve essere ancora ben oliato. La cosa importante, però, è che il 90% di quanto previsto negli accordi sindacali fatti in questi anni è stato portato a casa. Oggi siamo una fabbrica a tre passi dalla vetta: basta ancora un piccolo sforzo e possiamo fare il giro di boa e passare al rilancio. Ma sono anche i tre passi più difficili e di questo sono consapevole, ma io credo che possiamo farcela. Come delegato devo essere ottimista e credo che ci siano i presupposti per poterlo essere. Siamo, infatti, l’ultima grande azienda di ceramica rimasta in Italia e noi dobbiamo fare in modo che questo resti una realtà».
E cosa serve fare secondo lei?
«Bisogna fare in modo che il costo del pezzo prodotto diventi appetibile e competitivo sul mercato. Dobbiamo tornare ad essere competitivi all’interno ma anche in Europa».
Lei parla sempre al plurale, come mai?
«Penso che per fare bene il delegato sindacale bisogna lasciare da parte l’io e ragionare per tutti i lavoratori, pensare all’interesse collettivo. E bisogna essere irreprensibili e mettercela tutta. Ora più che mai siamo vicini alla meta e quindi invito tutti a non mollare».
Il 31 dicembre quindi lei finirà la sua esperienza lavorativa all’Ideal Standard. Come si sente?
«Devo confessare che la pensione è una tappa a cui si guarda quando si hanno tanti anni di lavoro alle spalle. Per fortuna vado in pensione relativamente giovane e quindi posso dedicarmi alle molte attività che in questi anni ho sempre coltivato al di fuori della fabbrica. C’è il volontariato, ci sono le passioni da seguire, un pezzo di terra da coltivare, c’è la famiglia. Famiglia che ringrazio per aver sopportato in questi anni le mie assenze dovute al sindacato che mi ha assorbito in alcuni momenti moltissimo. E poi, perché no, c’è anche il divano che mi aspetta».
E col sindacato ha chiuso?
«A dire la verità mi è giunta mezza proposta dalla Filctem per dare una mano in questo passaggio di consegne e nel seguire le uscite volontarie. Il sindacato ti porta via tanto tempo e tante energie, ma ti dà anche tanto. Io credo che solo un delegato in fabbrica capisca realmente le dinamiche dell’azienda».
Un rimpianto in tutti questi anni?
«Sì, non aver continuato gli studi superiori. Ma non per fare qualcosa di diverso di quello che ho fatto, ma per poterlo fare con maggiore cultura». —
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