In servizio ubriaca, condannata guardia medica

La dottoressa al lavoro a Puos si era presentata in casa di una paziente in evidenti difficoltà. Aveva bevuto ed era a processo per interruzione di pubblico servizio
ALPAGO. La guardia medica aveva bevuto. Nel corso del processo, qualche testimone ha detto che era proprio ubriaca. Portata in tribunale per interruzione di pubblico servizio, Maria Gabriella Grossi è stata condannata a tre mesi di reclusione più il pagamento delle spese processuali con pena sospesa dal giudice Scolozzi. Il pubblico ministero Rossi era salita a nove mesi, mentre il difensore Gandin si era battuto per una soluzione completamente diversa.


La vicenda risale all’8 agosto 2012, in Alpago, dove la donna lavorava come medico e copriva dei turni in guardia medica.


Una donna stava male e aveva deciso di rivolgersi a quel servizio di emergenza, per avere una visita e una soluzione al suo problema di carattere fisico. Grande la sorpresa, quando si era trovata di fronte un camice bianco in evidente difficoltà e non certo in grado di curarla. Di fronte a una situazione così anomala, interverranno i carabinieri della stazione di Puos. Uno di loro ha raccontato in aula di aver identificato la dottoressa, riscontrando in lei un’assunzione eccessiva di alcol. Del resto, i segnali erano inequivocabili: alito vinoso e difficoltà nel parlare. Senza contare che la stessa aria, all’interno della sede della Guardia medica era viziata per il forte odore di alcolici. La donna faticava a reggersi in piedi, di conseguenza cercava di appoggiarsi ai mobili, per non perdere l’equilibrio.


Il primo provvedimento è stato quello di chiamare un altro medico reperibile, per sostituire Grossi, che una spiegazione ha anche cercato di darla ai militari: era stanca per un viaggio che aveva appena fatto, dal momento che era tornata in Alpago da Roma. Non solo nessuno le ha creduto, ma da quel sopralluogo è nato un processo penale per l’ipotesi di reato di interruzione di pubblico servizio. Quasi cinque anni dopo i fatti, il procedimento è arrivato in fondo, con la sentenza di primo grado. La procura ha ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputata, per un reato che prevede la reclusione fino a un anno, ha chiesto quasi il massimo: nove mesi. La difesa ha cercato di ridimensionare l’accaduto e un po’ convincente lo deve essere stata, se è vero che il Tribunale ha condannato l’imputata a tre mesi con la sospensione condizionale.


Gigi Sosso


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