In tre mesi iscritti 30 medici all’Ordine: ma non entrano nelle scuole di specialità

Il presidente Umberto Rossa sbotta: «Decine di giovani attendono anni prima di accedere a queste istituzioni. Così non va»



I medici non mancano in provincia di Belluno. A mancare è una programmazione degna di tale nome. A dichiararlo è il presidente dell’Ordine dei medici di Belluno, Umberto Rossa. «Dall’inizio del 2019 ad oggi si sono iscritti al nostro Ordine 30 neo laureati. Sono stati 37 l’anno scorso. Quindi medici nel territorio ci sono, manca però la possibilità per loro di entrare nelle scuole di specialità», sbotta il presidente Rossa. Il quale precisa: «Anche per fare il medico di famiglia è necessario seguire una formazione di tre anni, mentre per le specialità ospedaliere ne servono quattro. È necessaria una programmazione nazionale e regionale che garantisca a tutti i medici laureati un posto in specialità. Ci sono in Italia 16 mila medici che aspettano di entrare in queste scuole».

Rossa continua: «Quest’anno le borse di studio sono aumentate e nella nostra provincia teoricamente per i prossimi due anni non ci sarà una crisi per i medici di famiglia. Il problema esiste per quelli ospedalieri. Infatti, in questo modo si crea un imbuto formativo: i medici escono in numero adeguato dalle università, ma poi le borse di studio sono in numero insufficiente. E quindi ogni anno 2000 medici abilitati in Italia non possono accedere alla scuola di specializzazione. In attesa, sperano che qualche medico di famiglia vada in ferie per sostituirlo e di poter fare le guardie mediche o di andare nei centri di prelievo. Ma c’è anche chi va all’estero. La Regione», suggerisce Rossa, «potrebbe accordarsi con le università di Padova e Verona e dare dei soldi dal suo bilancio per le borse di studio».

Nel frattempo, il presidente dell’Ordine provinciale approva la soluzione proposta da palazzo Balbi «per cui dopo due anni di specialità i laureati possono entrare in ospedale. In questo modo si riuscirebbe anche a fidelizzare i giovani ai nostri nosocomi, eliminando il problema di reperire il personale. Tralasciamo le convenzioni con la Slovenia per reclutare medici, come invece pare stia pensando la giunta veneta».

Secondo il presidente, per risolvere questa situazione che rischia di compromettere il Sistema sanitario e anche l’attività degli ospedali, servirebbe più impegno. E pensa anche alla necessità da parte delle aziende sanitarie di tenersi stretti i professionisti che già operano nelle strutture locali. «Il problema è che non si mettono in atto tutte le strategie per tenere i medici all’ospedale fino all’età della pensione», sottolinea il capo dell’Ordine. «Fino a 10 anni fa i professionisti vicini alla pensione non lasciavano il posto finché non raggiungevano l’età pensionabile, ora invece preferiscono andarsene prima ed entrare magari in strutture private. Ad andarsene», nota Rossa, «sono soprattutto i primari, sottoposti a carichi di lavoro pesanti perché devono farsi carico insieme ai colleghi del lavoro delle persone che mancano e di tanta burocrazia. È vero che la Usl fatica a trovare le coperture, ma la Regione dovrebbe rendere appetibili le condizioni di lavoro, magari aumentando i compensi. Negli ultimi tempi, infatti, c’è un fiorire in provincia di studi medici con più professionisti».

E sul ritorno dei pensionati in corsia, Rossa sottolinea: «Si tratta di professionisti capaci, con grande competenza. Ma prima di richiamarli dalla pensione, perché non si pensa a norme che prevedano che un medico, pronto alla quiescenza, possa rimanere ancora all’interno dell’azienda, magari sgravato da turni notturni, dal lavoro domenicale? Credo che lo scopo dell’Usl e della Regione non debba essere quello di riprendere i pensionati, ma di non farli andare via per trasmettere le conoscenze ai giovani che arrivano. Purtroppo su questo si chiacchiera tanto, ma c’è poca concretezza». —



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