In viaggio con gli ultimi pastori

Adolfo Malacarne li ha scovati e fotografati nel libro «Transumanze». Venti anni di impegno per realizzare un’opera che mostra la fatica i sacrifici e la poesia di un mestiere antico
Sulle tracce degli ultimi pastori del Triveneto. E’ il sottotitolo di un libro («Transumanze»), ma è anche quello che l’autore, Adolfo Malacarne, ha fatto veramente per oltre venti anni, seguendo passo passo i pastori che dalle montagne del Trentino, del Veneto e del Friuli scendono d’autunno alla pianura, seguendoli perfino in riva al mare nei pascoli invernali e tornando con loro ai monti in primavera.


Al lavoro di Malacarne si è unita la passione di un editore, Alessandro Dalla Gasperina, dell’Agorà Libreria Editrice di Feltre. Nasce un volume che sarà in libreria dopo l’11 dicembre, giorno in cui viene presentato per la prima volta nella suggestiva cornice di Castel Ivano in Valsugana.

Di pecore e di pastori parlano tre importanti contributi che introducono la parte fotografica, quelli dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz, inviato di Repubblica e autore di libri; di Daniela Perco che dirige il museo etnografico di Seravella di Cesiomaggore; e di Valentina De Marchi, giovane antropologa bellunese che si è laureata con una tesi sulla pastorizia transumante nel Triveneto.


Adolfo Malacarne è di Lamon, un paese di pastori, prima che di fagioli. Tra le due guerre vi erano trecento famiglie che vivevano di pastorizia. L’altro altopiano di pastori era Asiago, dove c’è un comune (Foza) che nel suo stemma ha tre pecore al pascolo. Agli inizi dell’Ottocento ad Asiago c’erano 100.000 pecore. Ora i pastori transumanti sono solo due. A Lamon non ce ne sono addirittura più: l’ultimo, Cristiano Campigotto, residente nel Padovano, ha venduto di malavoglia il gregge due anni fa.

«Quando ero bambino abitavo a Costa di Lamon e vedevo passare le greggi che scendevano lungo la valle del Senaiga, dal Tesino verso la pianura. Era uno spettacolo che mi stupiva e mi entusiasmava», l’autore spiega così come è nata la sua passione per questo mondo.


Ma la molla che ha fatto scattare la scelta di Malacarne di mettersi sulla strada con i pastori, è stato l’incontro con uno dei loro, incontro fortuito ma fondamentale. Angelo Moltrer è della valle dei Mocheni. Adolfo lo descrive come una figura ieratica, «il suo incedere lento alla testa del gregge, il suo sguardo profondo, il volto incorniciato da una folta barba, come un pastore dell’Antico Testamento».

Comincia con quell’incontro nel 1987 un percorso sulla strada, letteralmente, al seguito delle greggi, per cogliere con l’obiettivo fotografico scene di vita quotidiana dei pastori, il loro passaggio lungo le strade, pieno di difficoltà e di ostacoli, lungo le rive dei torrenti, in fuga da contadini arrabbiati, da divieti e multe che tormentano il pastore come se fosse un ladro o un malvivente.


Venti anni di fotografie, dalle transumanze sui ghiacciai della Val Senales, fino all’Adriatico, lungo direttrici consolidate che si perdono nella notte dei tempi. Il racconto di Malacarne parte da un fatto che si ripete fin troppo spesso. Un gregge scende lungo la valle del Cismon, percorrendo la statale. I turisti si fermano curiosi, magari scattano fotografie, ma c’è sempre qualcuno che ha fretta, pronto a chiamare i carabinieri o la polizia: e fioccano le multe salate.


E’ anche questa, oggi la vita dei pastori, dei pochi che sono rimasti attaccati ad un mestiere di fatica e sacrifici. Sono 61 quelli che nel Triveneto praticano ancora la pastorizia transumante. Sono stati tutti «schedati» da Malacarne, compresi i loro itinerari di transumanza. Non è stato facile entrate in sintonia con persone che non amano dare confidenza. Ci sono voluti anni per stringere amicizie, per farsi accettare al seguito delle greggi, fotografarli nei percorsi, farsi raccontare fatiche, gioie e speranze.

Uno dietro l’altro li ha scovati tutti, e con le sue fotografie racconta quello che è accaduto negli ultimi decenni.


Ma, come sottolinea Daniela Perco, il libro di Malacarne non ha intenti documentari in senso stretto, non descrive tecniche e modalità della cura del gregge e non insegue i pastori nei luoghi della burocrazia.


«Le foto di Adolfo Malacarne sono piuttosto testimonianza di una vicinanza spirituale, di una condivisione di valori, che si esprime soprattutto attraverso il rispetto. Non sono immagini sfacciate, intrusioni forzate, ma il frutto di contrattazioni silenziose, di parole ponderate, di sguardi, albe, notti e tramonti trascorsi insieme».

Tra i 61 pastori ci sono anche persone giovani: al giorno d’oggi il lavoro si è un po’ semplificato, ci sono i telefonini e i furgoni dove passare la notte o prepararsi un pasto caldo.


I pastori d’oggi non vendono più la lana, che è un rifiuto speciale, difficile da smaltire. Per la tosatura si affidano a squadre di neozelandesi che sono capaci di tosare una pecora in pochi minuti. E ringraziano la presenza di tanti musulmani, grandi consumatori di carne di agnello. Passano molte ore della notte in strada, quando il traffico è scarso e riescono a far muovere il gregge più facilmente. Altri tempi, ma in fondo è lo stesso lavoro di secoli fa.

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