Indagine a Belluno: «Scandali, riciclaggi e morti sospette»

BELLUNO. «Siamo scappati da tanti luoghi, perché eravamo in pericolo, ci siamo spostati per denunciare dei fatti, ma ci hanno creduto solo qui». Erano convinti di “servire” lo Stato Giuseppe Viozzi, 64 anni, bancario, e il 42enne Valerio Lattanzio, procuratore sportivo: le due gole profonde rifugiate nel Bellunese per motivi di sicurezza, pensavano di avere a che fare con «i servizi segreti». Oggi, invece, ritengono di aver vestito i panni di pedine, usate da una banda di faccendieri che agiva sottotraccia tra riciclaggi e false sponsorizzazioni, banche decotte e “dream team” da acquistare, traffici d’armi, paradisi fiscali, presunti emiri, sospetti suicidi e omicidi eccellenti. Intrighi e spy stories da far tremare i templi bancari, sportivi, politici.
In provincia sono arrivati la scorsa estate, grazie a una relazione personale di Lattanzio e da allora hanno iniziato a “parlare”: la procura di Belluno si occupa di loro con il procuratore in capo Paolo Luca, mentre il pm Marco Fajon ha in mano l’inchiesta per stalking nella quale figurano entrambi come parti offese. I carabinieri del nucleo investigativo diretto da Marco Stabile da mesi indagano e smistano potenziali notizie di reato nelle varie procure interessate. A difenderli, l’avvocato Franco Tandura, di sicuro non di primo pelo: «L’ho trovato su internet, l’ho chiamato e mi ha detto “parliamone”. Molti altri non mi hanno dato retta, avevano paura», ammette Viozzi.
Viozzi e Lattanzio hanno rivelato le loro frequentazioni, in particolare i contatti con un «alto dirigente dei servizi segreti italiani», al secolo Giuliano Michelucci, coinvolto in una serie di indagini toscane, conosciuto come uno dei soggetti che ha tentato la scalata a Banca Etruria e al quale la Finanza ha sequestrato oltre 3mila dossier su vip e politici. «Sono anni che scappiamo, la mia casa nelle Marche è stata violata, hanno rubato anche le foto di famiglia. Noi abbiamo parlato con diverse procure e gli unici che ci hanno ascoltato sono stati gli inquirenti bellunesi, permettendoci di denunciare situazioni conosciute direttamente».
Tutto al vaglio. Il procuratore sportivo romano e il bancario marchigiano han fornito dettagli su attività di intelligence del Vaticano, su un presunto trasporto di oro tra Roma e Arezzo, su assegni circolari di aziende equivoche per i quali trovare una banca dove cambiarli, su pseudo sceicchi, falsi sponsor di squadre di calcio e supposte attività di riciclaggio con tappe anche nel Padovano. E via di verbali fiume.
Pensavate di lavorare per i servizi segreti e che cosa vi veniva chiesto di fare?
«Di assumere informazioni su personaggi o aziende», risponde Lattanzio, procuratore sportivo legato alla nota presunta sponsorizzazione di Etihad all’Inter, anni fa.
Motivo?
«Con tutto quello che è successo ci siamo convinti che in realtà quella che avevamo davanti era una struttura organizzata che assumeva informazioni su politici o personaggi dello spettacolo e che utilizzava queste informazioni per ricattare queste persone».
O per alimentare altri “affaire”. «Per carpirmi informazioni di questo genere ho passato momenti terribili in un agriturismo in Umbria, dal quale non mi sono liberato da solo: quando scoppiò il caso della truffa all’Inter si sono messi paura e mi hanno trasportato loro nelle Marche. Da qui è iniziato il mio calvario», continua Lattanzio. «Nell’agriturismo, i primi giorni sono stati tranquilli, poi hanno iniziato a chiedermi notizie su persone che avevo conosciuto, politici, ma anche nomi dello spettacolo. Mi minacciavano. In una occasione mi hanno chiuso in bagno per due giorni con occhi e bocca tappati col nastro isolante: volevano sapere anche cose di cui non ero a conoscenza. Sono stato picchiato e mi hanno urlato: “Ti butto di sotto come un sacco di merda, come ho fatto con David Rossi», nome di Mps presunto suicida.
A Viozzi venivano chieste notizie su aziende e banche per l’apertura di conti correnti: «Ne valutavo lo stato», spiega.
Per riciclaggio o quali altri traffici?
«Da bancario posso desumerlo. I soldi potevano arrivare anche dall’estero, dai paradisi fiscali. Pensavo che magari fossero frutto di fatturazioni false, se fosse invece attività malavitosa non posso dirlo. Ma qui parliamo di milioni di euro: fondi enormi che venivano spostati. Per esempio ho in mano documenti di una società svizzera dove si parla di 480 milioni di euro. Ho assunto dati su una società padovana che doveva versare assegni circolari per 500 mila euro e dissi che non era sicura: mi risposero che se ne sarebbero occupati i “cugini toscani”».
Vi è mai venuto in mente che fosse tutto un fake?
«Ero convinto di servire lo Stato con i servizi italiani. Da due anni a questa parte penso a qualcosa d’altro, che fosse tutto per ricattare le persone. E il mio referente era una persona pericolosa. Noi siamo dovuti andare via con la famiglia, abbiamo dovuto lasciare casa: quando ci sono rientrato, ho trovato tutto a soqquadro e, guarda caso, sono spariti i documenti di Valerio che avevo e che riguardavano alcuni studi su acquisti di società di calcio, come il Milan. Forse perché erano vergate a mano da alcuni di questi personaggi. Mi hanno rubato anche le foto di famiglia, cosa che mi fa ancor più paura, le foto di mio figlio. Per fortuna ora Arma e procura ci stanno considerando, forse hanno trovato dei riscontri su quel che stiamo raccontando e per questo voglio ringraziare il procuratore Luca e i carabinieri, oltre al nostro avvocato per come ci sta seguendo» .
Siete guardati a vista?
«Io sono terrorizzato, se sono qui è grazie alla mia compagna Carlotta», dice Lattanzio. «La copertura nei nostri confronti si è alzata da parte dei carabinieri», conclude Viozzi, «Qui in questo periodo abbiamo cambiato otto case, dobbiamo sempre avere mille occhi e cambiare strada».
Ma l’organizzazione è ancora in piedi?
«Qualcuno oggi ha l’obbligo di firma, ma per esempio i contatti email con l’organizzazione mi risultano ancora vivi. La stampa si sta occupando dei nostri casi, ma vorremmo far capire che il nostro coraggio non è ancora venuto fuori sui giornali. C’è gente in libertà… E noi dobbiamo guardarci le spalle».
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