«Ingiusto far pagare l’Iva sulla Tia» Riparte la polemica
BELLUNO. I Comuni o le loro partecipate non potevano far pagare l’Iva sulla Tariffa di igiene ambientale, la Tia, che ora è stata abolita per essere sostituita dalla Tari. Se ci fosse ancora qualche dubbio in materia, ecco arrivare nei giorni scorsi un’altra sentenza della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso degli avvocati dell’azienda comunale veneziana Veritas contro una sentenza del Tribunale di Venezia, dando ragione al cliente dell’avvocato Enrico Cornelio. «Questa Corte, in plurime occasioni, ha avuto modo di chiarire», si legge nella sentenza dei giudici romani della sesta sezione civile, «che si deve soltanto dar atto che la Tia, di cui si discute, ha natura tributaria e quindi non è soggetta a Iva, dal momento che l’Iva, come qualsiasi altra imposta, deve colpire una qualche capacità contributiva. E una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un’imposta, sia pure mirata o di scopo, cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso».
«Spesso non si tratta di grandi cifre», dichiara l’avvocato Cornelio, «si parla di qualche centinaia di euro per utente, indebitamente percepiti sulle bollette fino a tutto il dicembre 2012, cioè quando la Tia è stata sostituita da un’altra tassa». «Ma ricordo a tutti», ribadisce il legale, «che si tratta di un credito che gli utenti possono chiedere entro i limiti della prescrizione decennale».
L’avvocato Cornelio sottolinea che sono centinaia i contenziosi in corso su questo punto e che i cittadini che hanno pagato, oltre a ottenere l’integrale rimborso dell’Iva che hanno versato, potranno ottenere anche il rimborso per i notevoli danni sostenuti e per l’opposizione temeraria da parte dell’azienda comunale, visto che «tutti i nostri clienti hanno dovuto combattere per anni questa battaglia giudiziaria» conclude Cornelio. A pensarla così non è solo l’avvocato, visto che nella sentenza della Cassazione, il giudice relatore definisce il ricorso, quello presentato dai legali di Veritas, «manifestamente infondato» e ha condannato l’azienda a pagare le spese legali.
Una sentenza che potrebbe far ripartire la polemica anche in provincia di Belluno. Sono migliaia, infatti, i contribuenti che, dal 2005 al 2012 sono stati costretti a pagare l’Iva non dovuta sulla tassa dei rifiuti. A Belluno, ma anche a Feltre. Facendo rapidi calcoli, se la Bellunum, dal 2005 al 2012, emanava ogni anno bollette da 4,5 milioni di euro, l'Iva si attestava sui 450 mila euro, si arriva, quindi, a una cifra attorno ai 3,5 milioni di euro di Iva non dovuta, che la partecipata del Comune dovrebbe restituire ai contribuenti. Considerando le 20 mila utenze si arriva a una quota media di 180 euro che ogni bellunese dovrebbe vedersi rimborsare.
«Io ci ho provato in passato», afferma Fabrizio Dei Tos, un contribuente della Bellunum, «ma alla fine mi sono arreso. Era inutile affrontare da solo un procedimento oneroso per riavere indietro un centinaio di euro. Forse avremmo dovuto dare vita a una class action tra cittadini; resta la rabbia, perché in Italia sembra che anche le sentenze della Cassazione siamo un optional».
«Negli anni centinaia di contribuenti si sono rivolti ai nostri uffici», spiega Guido Mattera della Federconsumatori, «ma alla fine non ci siamo mai mossi, perché gli stessi responsabili del procedimento, i giudici di pace, si muovevano in maniera soggettiva, anche di fronte a chiare sentenze della Cassazione. Insomma, il solito pastrocchio all’italiana».
Ma c’era anche un timore alla base della titubanza dell’associazione dei consumatori: «Dove avrebbe preso la Bellunum i 3,5 milioni di euro da restituire ai contribuenti? Come avvenuto in altri casi, il buco sarebbe stato coperto dall’aumento della tariffa, quindi dai contribuenti che da una parte avrebbero ricevuto il rimborso di un centinaio di euro e dall’altra sarebbero stati costretti a pagare per gli errori altrui».
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