Katia Mores, il giallo dell’ultimo viaggio
VENEZIA. Daniela Bortoluzzi è un po' come Katia Mores. Anche lei ama l’India, anche lei segue e applica ogni giorno gli insegnamenti di Sai Baba. Si sono conosciute proprio là, nell'ashram del guru di Puttaparthi, nel 2007.
«Per me era il primo viaggio, mentre Katia ci andava ogni anno ormai da molto tempo. Era pratica della zona, conosceva le persone, la cultura. Sapeva come muoversi». Daniela ha 68 anni, vive a Venezia e scrive saggi sull’esoterismo e sui misteri legati alla vita umana, alla genesi e alle culture antiche. «Katia mi manca molto anche per questo: era l’unica persona a cui facevo leggere le mie bozze e che le comprendeva al volo senza bisogno di spiegazioni».
Daniela era l’amica a cui Katia avrebbe dovuto scrivere con il numero indiano una volta atterrata a Bangalore, il 27 febbraio del 2013. Ma da quel giorno si sono perse le sue tracce su questa terra. «La prima cosa che si fa una volta arrivati in India è comprare una sim: con 10 euro al mese puoi chiamare ogni giorno in Italia per 15 minuti. Mi ha assicurato che l’avrebbe fatto subito, ma questo non è successo. Ho cercato di mandarle dei messaggi ma il numero risultava sempre non raggiungibile, così ho immaginato che avesse tolto la sim italiana. Le ho scritto via mail a entrambi gli indirizzi, ma non mi ha mai risposto. Dopo un po' la casella di posta risultava piena, quindi presumo non l’abbia nemmeno più aperta».
Ora è impossibile accedervi, perché dopo due anni di inattività gli account di posta vengono cancellati. «Quando i giorni sono diventati settimane ho cominciato a preoccuparmi seriamente», prosegue l’amica veneziana, «non conoscevo i genitori, così ho fatto centinaia di telefonate nel Bellunese prima di scoprire qual era la famiglia giusta. Mi hanno tranquillizzata tagliando corto, così ho pensato fosse tutto a posto». Ma le sensazioni erano tutt’altre. «Non sarebbe mai stata un mese senza contattare qualcuno», nega perentoria Daniela, «così dopo qualche tempo li ho richiamati chiedendo se secondo loro quel silenzio era normale. A quel punto il padre con la voce rotta mi ha confessato di essere disperato e mi ha supplicata di aiutarli. Nel frattempo avevo avuto la conferma dalla Emirates Airlines che Katia quell’aereo l’aveva preso», dato essenziale per far muovere la polizia locale indiana, per la quale ci sono voluti anche due testimoni italiani sul caso, altrimenti nulla si sarebbe mosso.
«All’inizio abbiamo perso un sacco di tempo perché purtroppo i familiari non volevano accettare l’idea che Katia fosse sparita, come non volevano se ne parlasse in paese», esclama amareggiata, «soltanto il 12 dicembre sono riuscita a far firmare al padre la denuncia di scomparsa». Ma nel frattempo poteva esserle successo di tutto. Katia all’epoca stava cercando lavoro. «Stava fuggendo dal suo presente: aveva un fidanzato con problemi di alcolismo e aveva deciso di allontanarsene, anche per dargli il tempo di uscirne».
Ad attenderla in India c’era un amico, un indiano soprannominato “Baba”: «Si conoscevano ormai da anni e lei aveva una mezza idea di investire qualcosa nella sua attività». Con i fratelli infatti Baba gestisce tuttora un’agenzia di viaggi in Tibet a Dharmsala, ai piedi dell'Himalaya. Dicono di averla vista in viaggio con lui verso nord proprio qualche giorno dopo l’arrivo. Ma nessuno ha depositato questa testimonianza. «Quando ci siamo messi in contatto con lui prima ha evitato di parlarne, dicendo che non sapeva niente di lei, poi si è giustificato dicendo di non aver fatto niente di male e di essere una brava persona».
Nel frattempo si era mosso anche un investigatore privato, Shiva, che però «è stato intimato di allontanarsi perché stava mettendo a repentaglio la sua incolumità. Qui c'è qualcosa di strano». Katia aveva intascato la liquidazione dopo aver perso il lavoro a Padova, a dicembre del 2012: «Con sé poteva avere tra i 3 e i 5 mila euro, che in quella culla dell'India sono una piccola fortuna», esclama l’amica, «Puttaparthi è un villaggio povero e con quei soldi puoi viverci per anni, mangiare e dormire può costare pochi euro al giorno». Non a caso, l’ipotesi che sta dietro la denuncia penale depositata da Dario Dall'Agnol il 7 novembre di quest'anno alla Procura della Repubblica di Padova è di rapina e omicidio. In questi tre anni si sono mossi in tanti per trovarla: moltissime persone dall’India, anche italiani che sono venuti a sapere della vicenda.
Perfino un uomo originario di Mellame che ora vive in Russia e che tramite internet avrebbe trovato due testimoni disposti a parlare in cambio di soldi. I genitori di Katia, Giacomo Mores e Gina Burani, promettono una ricompensa di 50 mila euro a chi farà ritrovare la figlia, viva o morta. «Si sono resi conto che non c'è più altro da fare. Io provo un grande dolore sordo, che però non riesco a metabolizzare. Sono arrabbiata per non aver potuto fare di più prima, ma non ho voglia di piangere. Non riesco ancora a vivere il lutto, né a visualizzare la sua fine. In qualche modo, forse nel più profondo del cuore, ho ancora una speranza che resta viva». Con lei, forse nascosta da qualche parte in India.
Francesca Valente
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi