«La città diventi il fulcro del rilancio culturale»

Irma Visalli, architetto urbanista: «Sogno il ritorno ad una atmosfera creativa che coinvolge tutto il capoluogo (ma non solo), come avvenne per il Tiziano»
Di Irene Aliprandi
gian paolo perona- perona- belluno- via mezza terra ombrelli
gian paolo perona- perona- belluno- via mezza terra ombrelli

BELLUNO. «Sogno il ritorno di un’atmosfera di creatività che coinvolga tutta la città».

Irma Visalli, architetto urbanista, già assessore provinciale nel suo ambito professionale, prova ad immaginare spunti utili alla crescita della città che oggi ha un elemento di eccellenza in più da offrire ai suoi visitatori: il nuovo museo civico a Palazzo Fulcis.

Visalli, cosa ne pensa del nuovo museo civico?

«Non ho potuto che apprezzarlo», dice Irma Visalli, «sia dal punto di vista della bellezza del contenitore che del contenuto che, insieme si sposano davvero bene. Il fatto che il Fulcis fosse in origine un’abitazione, inoltre, lo rende accogliente e particolare. Ci sono ancora cose insolute, come i percorsi e l’orientamento un po’ complicato. Vedere le file davanti al Fulcis mi ha fatto tornare in mente le file per la mostra di Tiziano del 2007».

Cosa, in particolare, si rivede oggi e cosa è diverso rispetto ad allora?

«Non penso alla mostra in sè, ma all’atmosfera che allora fu diversa e vorrei che a Belluno potesse rinascere. L’Italia e il Veneto sono pieni di belle cose, bisogna dare alla gente un motivo per venire fin qui. O organizzare grandi mostre, ma non è facile perché hanno costi davvero notevoli e non più alla portata di un solo ente pubblico, oppure la capacità di approfittare, di far fruttare al massimo ogni occasione. Quando ci fu la mostra di Tiziano a Palazzo Crepadona tutta la città era coinvolta. Ricordo la piazza Tiziano, l’aperitivo, la pizza, la vetrina... tutto ruotava attorno a Tiziano. Nelle scuole si parlava di quello e c’era una grande partecipazione collettiva a una mostra che è andata al di là dell’evento».

L’apertura del Fulcis ha coinvolto anche le categorie economiche, coordinate dalla Camera di Commercio, e molte associazioni di volontariato. In quale forma la partecipazione della città, stavolta, è stata inferiore a quella del 2007?

«È una questione di costanza. Il movimento deve rimanere sempre ad un alto livello, altrimenti è difficile che i privati possano organizzarsi. Penso ai negozi aperti la domenica. Se è solo per un evento spot diventa complicato, se invece c’è una programmazione costante i commercianti possono organizzarsi. Il commerciante deve avere certezze e quindi la partita deve essere di lungo respiro. In questo caso non so quando si sono attivate le sinergie, nel 2007 partimmo molto in anticipo».

C’è un deficit di accoglienza in questo periodo, secondo lei?

«Sì e l’organizzazione dell’accoglienza dev’essere la prima operazione da fare, non solo a Belluno ma in tutto il territorio provinciale. Perché abbia successo è necessario far sentire ogni operatore dentro un progetto di ampio respiro. Ognuno deve diventare un pezzetto dell’impresa, che dev’essere collettiva. Nonostante le qualità che la città dimostra e le sue potenzialità, il quadrilatero della cultura non è ancora un progetto compiuto. Ripenso a Paolo Conte (Fondazione Cariverona) quando sollecitò un progetto culturale che comprendesse tutti i contenitori».

Oggi ogni contenitore (Fulcis, Bembo, Auditorium e Crepadona) ha la sua destinazione, sappiamo a cosa sarà destinato. Non è sufficiente?

«Sì ma non basta. Ogni ruota, pur bellissima, non si muove ancora insieme alle altre come all’interno di quell’ingranaggio perfetto cui dobbiamo mirare. La mostra di Tiziano del 2007 creò un’atmosfera particolare non solo perché era una grande mostra. Forse abbiamo lavorato più per tempo, ma ci fu anche il coinvolgimento del resto del territorio, non solo di Belluno. La città era il fulcro, ma tutto attorno le ruote giravano insieme in armonia. Questa cosa si è persa per mancanza di risorse, ma ora il museo Fulcis può e deve diventare un museo vivo, dove si fanno continuamente delle iniziative, non dove si va un giorno a vedere le opere e poi basta».

Qualche idea?

«Tipo i matrimoni, come a teatro, ma serve un pacchetto. Bisogna usare la creatività per inventare qualcosa fuori dal solito schema “vedere la mostra e andare a negozi”. Io penso anche che via Mezzaterra debba diventare la strada dell’artigianato, che il Piave vada messo in connessione, che la Crepadona debba diventare una “biblioteca aperta” sul modello di Antonella Agnoli e non solo un luogo di conservazione dei libri, ma un ambiente della cultura e dello stare. Inoltre ritengo importante l’avvio del “centro commerciale naturale”. Insomma, servono tanti tasselli tutti insieme».

Dunque una cultura per tutti?

«Sì, la cultura dev’essere popolare nell’uso più nobile del termine, deve diventare una parte della vita della città, non essere elitaria, altrimenti i contenitori rimarranno vuoti. Il processo è da costruire bene e va coltivato continuamente. Il Fulcis e gli altri palazzi in via di ultimazione ci danno grandi opportunità, ma serve una politica trasversale tra pubblico, privato, associazioni di categoria e volontariato. Tutti devono entrare in quest’atmosfera e volerne diventare attori. Il Comune non ha più le risorse per fare da solo e la gente che viene in visita chiede cose nuove, originali e collegate tra loro. Al momento viviamo ancora sugli spot. Bisogna unire tutto e dare una prospettiva di lungo respiro».

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