La difesa del Cadore attraverso i tre forti
BELLUNO. Dieci capitoli per raccontare i tre forti la cui storia è indissolubilmente legata alle vicende della prima guerra mondiale nelle Dolomiti. Le motivazioni strategiche che portarono alla loro realizzazione sono descritte nel libro di Walter Musizza e Giovanni De Donà «I Forti di Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher con le altre difese del campo trincerato di Pieve di Cadore 1866 – 1918».
Un volume, edito Dbs Zanetti con il sostegno del Comune di Pieve di Cadore, in edicola oggi insieme al Corriere delle Alpi. I due autori, nell’anno in cui ricorre il centenario della Grande Guerra, ripercorrono gli eventi connessi alla costruzione dei tre grandi impianti, avvenuta tra il 1881 e il 1896, dopo che negli anni immediatamente seguenti alla III Guerra d’indipendenza era stata organizzata la cosiddetta “Stretta di Treponti” sui colli di Vigo.
I fatti descritti vanno dalla presenza dell’antico maniero alla sua decadenza nel 1700, dai grandi lavori del Genio militare di fine 1800 fino alla sua utilizzazione a partire dallo scoppio della prima guerra mondiale. I tre forti costituivano una costruzione accompagnata da un complesso organico di difese complementari che disseminò sulle alture alla confluenza del Piave e del Boite una rete di strade, postazioni e osservatori in grado di impedire ogni penetrazione nemica da Misurina, dal Comelico, dal Passo della Mauria e da Cortina. Superbi palazzi di guerra destinati alla difesa del fronte contro la paura secolare di invasioni dal Tirolo e rivelatisi invece inutili fortezze. I due capitoli sono arricchiti da fotografie e documenti in parte inediti.
Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher rappresentano uno spaccato straordinario delle concezioni e degli esiti della scienza fortificatoria europea della fine del Diciannovesimo secolo, vale a dire dei criteri costruttivi legati ancora a parametri medievali (ponte levatoio, caponiera, caditoie) e a mezzi ossidionali di gran lunga inferiori (ad esempio cannoni da 149 in ghisa) a quelli che il progresso avrebbe imposto solo pochi anni dopo.
Il libro si sofferma inoltre su uno dei personaggi più rappresentativi della costruzione del forte di Monte Ricco, l’ingegnere Giovanni Ivanoff, patriota di origine russa e già suddito austro-ungarico, fuggito da Trieste a Venezia per mettersi a disposizione della causa italiana. Non mancano poi specifici capitoli dedicati all’utilizzo delle fortificazioni di Pieve durante il conflitto, alla distruzione finale a opera delle truppe nemiche nell’ottobre 1918, ai recenti lavori di restauro diretti da Luigi Girardini e ai possibili itinerari di visita, comprese le postazioni sussidiarie disseminate nel comprensorio (S. Dionisio, Monte Tranego, Col Pecolines, S. Anna e Damos). Tra l’altro il recente recupero di Monte Ricco ha già attirato parecchi visitatori. Un aspetto che contribuisce all’obiettivo postosi con il restauro: fare di Monte Ricco un luogo di conoscenza e conservazione della memoria. Non a caso il libro di Musizza e De Donà anticipa l’attesa inaugurazione del forte quale museo virtuale della Grande Guerra e centro di accoglienza per tutti i turisti in arrivo in Cadore.
Martina Reolon
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