La figlia e il compagno ritrovano il corpo di Giocondo: era scomparso nove mesi fa

Monica Ghirardo non si è mai arresa: «Ho urlato “papà”, lui guardava le montagne». L’anziano morto forse per la fatica



Giocondo Ghirardo era seduto e guardava la montagna. «Forse si godeva l’ultima neve, forse voleva chiedere aiuto» dice la figlia Monica, che lo ha trovato ieri in Val Tovanella, sopra Ospitale, dopo 287 giorni di ricerche. Lo ha riconosciuto perché indossava gli stivali verdi nuovi: se li era comprati il giorno stesso della scomparsa, l’8 giugno 2018, per salire in montagna a cercare lumache. Monica non lo ha toccato: «Ho urlato “papà”, e sono scoppiata a piangere».



Si è conclusa così, in questo modo terribile, la lunga ricerca dell’ottantenne cercatore di lumache di Vittorio Veneto, sparito nei boschi, nove mesi fa. Morto da allora, praticamente mummificato.

Come ha fatto a ritrovare papà?

«In Val Tovanella c’è un sentiero irto, difficile, interrotto da due frane. I cani molecolari si erano fermati prima. Oggi (ieri, ndr) con il mio compagno abbiamo deciso di andare avanti, me lo sentivo, sapevo che mio papà aveva le gambe ancora buone per camminare fino a oltre quella frana. Ho chiesto a mio papà che mi desse un segno, ho sentito il verso di un capriolo, che ricorda l’abbaiare di un cane. Lucio, il mio compagno, a un certo punto ha visto una macchia verde sulla montagna. Ho guardato col cannocchiale, erano i suoi stivali. Era papà. Mummificato, seduto con lo sguardo verso la montagna».

Cos’ha provato?

«Ero in apnea. Mi tremavano le gambe. Ho baciato Lucio. Poi mi ha preso un grande sollievo. Era finita, lo avevamo trovato».

Da quanto lo cercava?

«Dall’8 giugno 2018, data della scomparsa, non ho mai smesso. Almeno una volta a settimana, perché non ho lasciato il mio lavoro. Da sola avevo paura, non sono zone per una passeggiata. Lucio mi ha aiutata ogni giorno e il suo appoggio è stato fondamentale».

Su Facebook lei aveva scritto: “devo stare attenta a non farmi male, perché poi non potrei più cercarti”.

«È vero (piange, ndr), se mi fossi fatta male per colpa della neve, o degli alberi caduti dopo la tromba d’aria di ottobre, nessuno avrebbe più cercato il mio papà. Capisco tutti, e voglio ringraziare chiunque ci abbia dato una mano: abbiamo provato con i droni e i robot sottomarini, era una ricerca molto difficile».

Ha mai pensato di mollare?

«Ultimamente avevo quasi perso le speranze. C’era stata la tromba d’aria che aveva sconvolto i paesaggi. Conoscevo quella montagna roccia per roccia. Ma qualcosa mi ha spinto ancora una volta».

Suo papà le ha mandato dei segni in questi mesi?

«Sì, in un certo senso mi ha preso per mano. Mi sono ricordata che una volta mi parlava della sua giovinezza, di quando aveva 15-16 anni e saliva al “rui dei s-cios”, dove si trovavano lumache “belle grosse”, diceva lui. È una frase che mi è tornata in mente spesso. Ho voluto rifare quella strada. Ci ero passata un’altra volta, a novembre. Poi mi sono ricordata di un’altra frase che mi diceva spesso: bisogna andare “su alti”, dopo quella frana. Le ricerche ufficiali si sono fermate prima perché forse non pensavano che avrebbe avuto la forza di andare oltre. Sapevo che non lo avremmo trovato nel Piave».

Cosa avrebbe voluto dire a suo papà dopo averlo ritrovato?

«Che sapevo che era lì. Lui voleva che fossi io a ritrovarlo. E gli avrei detto che non aveva più l’energia di quando era giovane per andare così in alto, anche se a lui sembrava di farcela. Questo lo ha tradito. Domani (oggi, ndr) abbiamo il riconoscimento del corpo a Belluno, è una formalità, sappiamo che è lui. Poi potremo organizzare i funerali. Lo riportiamo a casa, nove mesi dopo». —


 

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi