«La mia città così si è votata al suicidio»

Monsignor Sommacal denuncia il calo delle nascite nel capoluogo: «In cattedrale 1500 anime come per la chiesa di Loreto»
Di Francesco Dal Mas

BELLUNO. «La mia città si è votata al suicidio». Che cosa dice - gli obiettiamo -, don Rinaldo? «Qui in centro non nasce più nessuno. La parrocchia della Cattedrale ha 1500 anime, tante quante la parrocchia di Loreto. E siamo un capoluogo di provincia». Monsignor Rinaldo Sommacal era, fino al 14 agosto, l'arciprete del Duomo e di Loreto. Andrà in pensione, «per modo di dire, perchè un prete non va mai in pensione».

Ma almeno si riposerà?

«Vedremo... Col Cantiere della Provvidenza c'è poco da riposare».

La crisi non finisce di produrre disoccupati, impoveriti. Anche a Belluno?

«Certo che sì, basta guardarsi intorno. Quando non si è poveri di beni materiali, di reddito in particolare, si è poveri di spirito».

Lei è stato dal 1982, quando ha assunto la gestione di queste parrocchie, un po' il vice vescovo, come è considerato il parroco della cattedrale alla stregua del vicario generale?

«Io vice che cosa? Sono un povero prete. E tale resterò».

Si sente vecchio?

«Vecchio, io? Certo, non ho più la tenacia fisica di un prete giovane. Ma anche noi sacerdoti anziani siamo proiettati verso il futuro».

Con un supplemento di saggezza sui giovani preti.

«No, non dica così. I giovani oggi sono preparati e disponibili. Sia come preti, sia come laici. Basta vedere che cosa fanno in parrocchia. L'importante è lasciarli lavorare».

“Il Corriere” ha scritto che la scelte di don Renato, il vescovo, di portare i seminaristi a Trento è stata illuminata, perché nascerà in questo modo una Chiesa delle e per le terre alte. Condivide?

«La scelta di chiudere il seminario è stata sofferta. L'aveva vagliata anche monsignor Andrich. È stata fatta ed ora bisogna assecondarla. Senza recriminare».

Perché teme che Belluno si stia suicidando?

«Sono qui dal 1982 e da allora ho sempre visto la popolazione diminuire».

Il motivo? I bellunesi non amano la vita?

«No, no, eccome la amiamo. Si ricorda quando nei primi anni ’80 si cominciò a ristrutturare il centro storico? Vollero, allora, trasformare la residenza, realizzando mini alloggi, per single; addirittura tre al posto di uno familiare. Poi arrivò l'isola pedonale. Una famiglia non ci poteva più abitare in centro. Tra l'altro vennero a mancare i parcheggi, i garage. Quella volta intervenni preoccupato di queste trasformazioni. A qualche errore fu trovato riparo. Ma in centro senza vita, senza futuro. Rimasero i vecchi... ad invecchiare».

E oggi?

«Arrivano solo extracomunitari».

Che lei accoglie ed assiste

«E vorrei vedere un cristiano che non lo fa».

Eccolo il prete della misericordia.

«No, per carità, nessuna definizione».

Con il suo Cantiere della Provvidenza quante persone ha assistito?

«Ad almeno 30 persone, colpite dall'alcolismo più che da altre povertà, abbiamo riconosciuto una carta d'identità speciale: quella di cittadini nobili. Cittadini che si sono riappropriati della loro vita, della propria dignità».

Dieci anni fa è stato un precursore, un pioniere di quanto poi hanno promosso il Papa e la Conferenza episcopale italiana sulla frontiera della solidarietà?

«Ripeto, non ho nessun merito. A voi giornalisti va ricordato che tutti (o quasi) i preti si comportano in questo modo, anche se non gridano, se non urlano la generosità di cui sono capaci».

Come si sono trasformati gli impoveriti?

«Abbiamo tolto dalla città gli ubriaconi, ma non li abbiamo confinati chissà dove: li abbiamo aiutati a trasformarsi, loro stessi, da rifiuti in opportunità, in risorsa. C'è poco da fare: a chi sbaglia va data comunque una chance di rigenerazione».

Perché l'ha fatto? Si sente un eroe?

«Non dica stupidaggini. L'ho fatto perché mi sento come un padre di famiglia. E da prete mi sono sempre comportato come un padre di famiglia».

Affidandosi al buon senso?

«Sì, come si comportano tutti i preti. Il buon senso ed il silenzio operoso. La misericordia agisce di nascosto».

Considerata la sua esperienza, fa tremare i polsi sentirla dire che Belluno si sta suicidando?

«È vero o no che trenta anni fa le nostre scuole traboccavano di bambini? È vero o no che oggi si rincorrono per rubarseli? E per fortuna che ci sono le famiglie di immigrati».

Ma se un prete dev'essere come un buon padre di famiglia, perché in diocesi di Belluno ci sono soltanto quattro seminaristi?

«La crisi è generale. Fa paura - nella vocazione sacerdotale come in quella matrimoniale - quel “per sempre”».

Ma è affascinante quello che lei ha fatto: da prete e con il Cantiere della Provvidenza.

«Ringrazio per la fiducia, che redistribuisco ai miei collaboratori. Ma lei lo sa che da tre anni stiamo riportando nel Bellunese il baco da seta? Lo sa che abbiamo acquistato una campagna per trasformarla in un angolo dell'eden. E sa che abbiamo dato vita anche al Cartiere della Provvidenza, per trasformare la carta da scarto in risorsa. E il Cantiere del Gusto? Il tutto per trovare lavori nuovi a chi non riesce ad acciuffare quelli tradizionali».

Affidandosi alla Provvidenza?

«Esclusivamente. I nostri collaboratori sono lavoratori come gli altri. E hanno diritto a un regolare stipendio. Quindi nessuna carità. Ma di elemosina ne riceviamo molta».

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