La morte del parroco, il sindaco: «Abbiamo perso un caro amico»
SELVA DI CADORE
Dopo aver reso omaggio alla salma del suo sacerdote, il vescovo Renato Marangoni, ancora scosso, ha raggiunto la Basilica del Santo a Padova, per il pellegrinaggio diocesano. «Stamattina ci è giunta notizia della morte improvvisa di don Gabriele Bernardi, bravo e amato nostro sacerdote. Domenica sera stava bene. Aveva celebrato una Pentecoste particolare a Colle Santa Lucia. Una giornata straordinaria, che aveva vissuto in pieno. E nell’esultanza della Pentecoste, domenica sera ha lasciato la Gerusalemme terrestre per la Gerusalemme celeste, che lui tanto desiderava. Anche lì un segno di questa maternità, di questa premura che Maria rappresenta e che Antonio ha vissuto e che siamo tutti chiamati a donarci vicendevolmente».
A Selva di Cadore, intanto, continuava il pellegrinaggio in chiesa, alle spoglie del parroco. «Don Gabriele ci mancherà infinitamente»: questa la reazione di Luisa Bernardi e delle altre due sorelle e del fratello del sacerdote che ieri sono saliti a Selva di Cadore. Da una parte della strada, la canonica, dall’altra il municipio.
«Ci vedevamo e ci parlavamo ogni giorno», racconta in lacrime la sindaca Silvia Cestaro. «Il dolore immenso. Non abbiamo perso solo un parroco, ma un amico. Qui lo abbiamo tanto amato e stimato, solo pochi giorni fa aveva fatto portare una rosa ad ogni mamma per la festa della mamma. A Pasqua aveva donato una colomba ad ogni famiglia. Con lui ci confidavamo come col più caro degli amici. Aveva a cuore soprattutto la sorte dei bambini, che portava anche in gita al mare. E con i giovani sapeva intrattenerli alla pari». La sindaca Cestaro racconta della inesauribile energia del sacerdote: «Era davvero infaticabile».
Ermenegildo Rova è il marito di Marisa Lorenzini, che fa la sacrista di Selva di Cadore. Questo è il terzo lutto che li colpisce in famiglia. Prima la morte del fratello di Marisa, poi di una sorella di Ermenegildo. «Don Gabriele lo consideravamo come uno di famiglia. E adesso non possiamo che augurarci che il vescovo ci mandi un altro prete della stessa statura», sospira Rova, ricordando come don Bernardi avesse approfittato del lockdown per sistemare la canonica.
Ieri sera, subito dopo la messa di Pentecoste, Marisa gli aveva portato un piatto di ravioli. Accadeva spesso. Don Bernardi, d’altra parte, era molto organizzato e le famiglie del paese facevano a gara per dargli una mano. «Un prete santo. Ecco ciò che posso dire. Non serve altro», ammette Marisa.
Don Fabiano Del Favero, vicario foraneo dell’Agordino, ricorda quanto don Bernardi gli scrisse recentemente, in occasione della Pasqua: «Arrivare a Gerusalemme è sentire di aver raggiunto la propria madre, e nel sepolcro vuoto si intravvede il grembo nel quale si genera la vita. Il Calvario ci ricorda i dolori del parto, il prezzo dell’amore, il Sepolcro vuoto ci parla della vita “che se ne è andata”. Non è qui! Se non è qui vuol dire che è vivo, che è altrove. Dove? La morte mi dice che è vivo, la sua assenza che mi parla di risurrezione. “Nessuno può vedere Dio e restare in vita”! Ecco perché mi ritrovo spesso a ripetere: “quando vieni”?».
Mons. Giorgio Lise, rettore del seminario, ha conosciuto a fondo don Bernardi, prima a Longarone e dopo in Agordino. Ricorda il suo entusiasmo, la “passione” per la Chiesa, il suo straordinario trasporto per la Terra santa e il Santo Sepolcro. «Quei 10 anni lo avevano letteralmente trasformato. Possiamo dire che era un uomo che credeva veramente nella risurrezione e voleva far conoscere questa “realtà” a tutti». —
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