LA MOSTRA / Nello sguardo di Yole l’ombra malinconica di un addio alla vita

PADOVA. L’amavano. Amavano l’eleganza del suo portamento, lo scintillio dello sguardo. La raffinatezza dei gesti, la cultura brillante. L’amavano di un amore sublimato e immortale, al punto da soffermarsi davanti alla sua tomba, nel cimitero di Padova, e sperare che potesse lasciare “i sigillati marmi” per tornare ancora un solo istante, e leggere ancora una volta nella profondità della loro anima.
Si chiamava Yole Biaggini Moschini: la incontreremo per cento giorni, dal 6 settembre al 14 dicembre, a Palazzo Zabarella di Padova, in due straordinari ritratti eseguiti da Vittorio Corcos a cui la Fondazione Bano si accinge a dedicare la più vasta antologica mai realizzata. Si poserà sugli occhi dei visitatori, e li ammalierà, lo sguardo di questa giovane donna vissuta un secolo fa ma così moderna nella sua sicurezza, persino nella sua bellezza. La vedremo in un ritratto del 1901, elegante e sottile nell’atto di uscire di casa, e in un ovale del 1904, per il quale posò un anno prima della morte, già minata da una malattia fatale, e consapevole.
Di ottima famiglia e di spiccata intelligenza, Yole aveva sposato Vittorio Moschini, che sarebbe diventato sindaco di Padova, il primo del Novecento. Suopadre Vicenzo, facoltoso padovano, aveva acquistato una tenuta a San Michele al Tagliamento, che Yole frequentava spesso. Qui, e nella villa dove viveva con il marito a Stra, il suo salotto culturale era tra i più ricercati, crocevia di affinità e di sensibilità. Vi si ritrovavano Gabriele D’Annunzio, Pietro Mascagni, Ugo Ojetti; e Antonio Fogazzaro, che l’aveva incontrata nel 1887, nella stazione climatica di San Bernardino e ne era rimasto folgorato, tanto che in una lettera scriveva: «Vi è qui una giovane signora seducentissima. È assai bella, assai elegante, piena d’ingegno». Un incontro di cui non si sarebbero più perse le tracce: è a Yole Biaggini che Fogazzaro si ispirerà nel tratteggiare il personaggio di Jeanne Dessalle in “Piccolo mondo moderno”.
Vittorio Corcos, a sua volta, la considererà tra le più belle donne mai incontrate e avrà con lei uno stretto legame di amicizia, ritraendola in tre diverse occasioni. La sua capacità di cogliere e trasmettere l’anima delle donne che posano per lui si moltiplica di fronte a lei; in un artista di vastissima produzione, un’affinità intellettuale così profonda poteva fare, alla fine, la differenza. Di lei si diceva che «era la persona stessa della cortesia, l’affabilità perfetta; ma senza volerlo, senza saperlo, metteva sempre un po’ di soggezione». Nel ritratto del 1901 questo appare evidente; e con la stessa forza, si coglie nell’ovale del 1904 il senso di un addio.
La villa dove Yole Biaggini e Vittorio Moschini vissero è ancora esistente, a Stra lungo la provinciale poche centinaia di metri prima del centro del paese; sull’angolo a destra di chi guarda dalla cancellata, si intravede appoggiata a una colonna una scultura: è Yole così come il marito volle ricordarla dopo la sua prematura scomparsa.
Non ebbero figli. Ma il destino che aveva fatto di lei la musa di Fogazzaro si allungò sulla nipote, Adriana Ivancich Biaggini. Aveva 18 anni, viveva nella tenuta di San Michele. Era il 1948 e uno scrittore americano si fermava a pranzare in una trattoria dalla quale si vedevano le barchesse dove la famiglia Ivancich viveva dopo che la villa era stata distrutta dalle bombe. Lui la cercava, “di là dal fiume e tra gli alberi”. Fu un amore destinato a durare per sempre: seguendo la trame del destino, a dispetto della moglie di lui, della giovane età di lei, del blocco della pubblicazione in Italia di quel romanzo dove Renata era lei, Adriana Ivanich Biaggini e Ernest Hemingway si amarono.
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