La Provincia vuole aiutare i negozi delle frazioni
Un’analisi della Camera di Commercio evidenzia le difficoltà della montagna Palazzo Piloni pensa a una bando per mettere a disposizione i fondi ex Odi
BELLUNO. Contro lo spopolamento delle frazioni dei comuni confinanti e la chiusura dei cosiddetti negozi di vicinato, la Provincia sta studiando un bando da mettere in piedi grazie ai fondi ex Odi. Obiettivo: sostenere economicamente queste attività commerciali che spesso svolgono un ruolo sociale nelle realtà disagiate.
Per fare ciò, Palazzo Piloni si è appoggiato alla Camera di commercio che, tramite l’Osservatorio economico e sociale di Treviso, ha realizzato una mappatura delle condizioni in cui versano le 474 frazioni dei comuni confinanti.
L’analisi.
L’analisi si è concentrata sui 40 comuni confinanti e contigui in cui risiede oltre il 55% del totale della popolazione bellunese. «L’unità di analisi adottata sono state le “frazioni”, dove è nata e cresciuta l’organizzazione economica di base del territorio», precisa il presidente camerale, Mario Pozza.
L’analisi ha evidenziato come più della metà delle frazioni (123) sia attualmente in uno stato di dispersione (cioè sono già state abbandonate) o a rischio di dispersione (152). Per quanto riguarda la loro collocazione, 125 di queste si trovano nei comuni confinanti e 150 in comuni contigui. Le vallate che presentano le situazioni più critiche sono quella del medio Agordino (87,5% delle frazioni in dispersione e a rischio dispersione), di Zoldo (85,7%), del Comelico-Sappada (84,2%) e del Basso Agordino (82,9%). Viceversa, la situazione si capovolge nella Val Boite, in Valbelluna e nell’Alto Agordino, dove a superare la quota del 50% sono invece le frazioni in tenuta o consolidate (rispettivamente 77,8%; 60,5%; 52,9%).
È stata realizzata anche un’indagine sul campo tramite le testimonianze di imprenditori. Sulla base di quanto raccolto, sono stati tracciati tre profili distinti in base all’età o alla classe generazionale dell’imprenditore che opera in esercizi di vicinato (giovani, mezza età, anziani) e quattro tipologie di imprenditore sulla base degli atteggiamenti e degli stati d’animo rilevati. Ci sono quindi i “rassegnati”, che hanno smesso lottare, e i “sofferenti”, che non hanno ancora metabolizzato i cambiamenti e la crisi: in queste prime due categorie si trovano soprattutto gli imprenditori di mezza età (45-65 anni). Ci sono poi i “reattivi”, che prendono atto della situazione che vivono e cercano soluzioni, e gli “innovativi”, che cercano nuove opportunità: tra questi rientrano non solo i giovani (fino a 45 anni) ma anche gli anziani (over 65enni). «L’aspetto che appare chiaro», dice Pozza, «è che in molti esercizi situati non ci sono più le condizioni economiche per restare aperti: si sopravvive perché in molti casi i locali sono di proprietà e si “lavora” sul contenimento dei propri compensi. I conduttori anziani e quelli di “mezza età” non mostrano interesse o intenzione a investire nella loro attività. I giovani che subentrano ai genitori hanno chiaro che per andare avanti devono trovare cose nuove da fare e comprendere i mercati e le nicchie di questi per inserirsi. Alcuni giovani imprenditori cercano di creare o rinsaldare legami con le filiere corte del territorio per costruire un’offerta differenziata che punti a specifici target con disponibilità di spesa; altri lavorano sul format di offerta (es. da negozio alimentare tradizionale si spostano sull’offerta degustativa e ristorativa, sulla creazione di eventi di richiamo ed intrattenimento). Ma c’è anche una certa propensione a fare rete per creare le masse critiche sufficienti per stare sui mercati e un interesse a sviluppare canali di vendita con l’e-commerce e inventarsi servizi di domiciliazione».
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