La questora e la carabiniera, «per emergere serve grinta»
Belluno. Questore, questrice o questora? Quando nel mese di luglio l’ex capo della polizia di Stato Franco Gabrielli ha fatto visita alla questura di Belluno, Lilia Fredella l’ha chiamata “questora” . «Dopo tutti questi anni faccio fatica ad abituarmi alla declinazione di genere». Piuttosto l’articolo al femminile, dice. «Chiederò a mia madre che è linguista».
Da quando è entrata in polizia nel 1990, Fredella è stata la prima dirigente donna di vari uffici. «Ricordo quando ero in Kosovo con le Nazioni Unite, dove per tanto tempo sono stata l’unica rappresentante delle forze dell’ordine di sesso femminile in mezzo a oltre 5 mila persone. Quando incontravamo la popolazione, anche se ero la più alta di grado, non si rivolgevano a me, ma agli uomini che mi erano attorno. È un problema soprattutto culturale».
Un percorso di parificazione di genere e tutela delle carriere “rosa” che la Polizia ha avviato almeno dalla riforma del 1981. «Faccio fatica a negare che per me sia stato difficile, ma quel che abbiamo conquistato oggi ricompensa gli sforzi fatti in passato. Un collega mi chiedeva spesso di fare quattro chiacchiere “da uomo a uomo” , sono stata cresciuta da un padre femminista che non ha mai sottolineato le differenze. Non è sempre il genere a dettare simpatie o antipatie ma anche il carattere, che però tendenzialmente viene fatto pesare di più alla donna». Sull’essere madre: «Io non ho avuto figli, ma ci sono colleghe, la mia stessa vice capo, che hanno comunque potuto fare delle splendide carriere».
Lo stesso è successo al maggiore Emanuela Cervellera, comandante dei carabinieri di Belluno dal 2017 e due volte mamma, la seconda nel 2019: «Far conciliare i ruoli non è semplice, anche perché ho la reperibilità h24. Gestisco cento uomini e seguo tutti gli avvenimenti del territorio, anche di notte. Posso dire che ci vuole comprensione e collaborazione familiare, oltre che tanta organizzazione. Conciliare tutto è difficile, ma la nostra forza sta proprio in questo: alle ragazze a cui faccio le conferenze per i concorsi interni dico sempre di non spaventarsi, che riusciranno a gestire tutto alla perfezione. Avere una famiglia è sempre stato un valore aggiunto per me, anche perché mi ha permesso di affinare la sensibilità e di metterla al servizio dei miei stessi colleghi per aiutarli ad affrontare anche problemi personali. Siamo tanti genitori, viviamo di imprevisti, ma avere l’alloggio di servizio in caserma ci facilita».
Quando Cervellera ha cominciato era l’unica donna nel plotone, «ma non ho mai avuto difficoltà, nemmeno a relazionarmi con colleghi dell’età di mio padre».
Oggi la presenza di tante donne nelle forze dell’ordine ha dato quel plus in tanti ambiti, come nell’assistenza delle vittime di violenza. «La nostra sensibilità può fare la differenza: siamo entrate nell’Arma in punta di piedi e oggi siamo riconosciute a tutti i livelli, senza dover mai rinunciare all’essere donne». —
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