La rapina dell’estate era un’invenzione
COMELICO. Dal sospetto alla certezza. L’uomo che all’inizio di agosto si era presentato dai carabinieri dicendo di essere stato rapinato da una banda di rumeni, si è inventato tutto. Lo ha confessato lui stesso ai militari della stazione di Santo Stefano, che lo avevano convocato in caserma per metterlo di fronte a quello che avevano scoperto.
Le indagini fatte dai carabinieri di Santo Stefano dopo la denuncia hanno permesso di ricostruire tutta la vicenda: non è vero che l’uomo è stato minacciato con un coltello, tantomeno è stato rapinato. Non era andato in caserma quella notte (come aveva detto inizialmente) e nemmeno che aveva il telefonino scarico. Insomma, tutto inventato. Ma la vicenda non si chiude così. L’uomo è stato denunciato per simulazione di reato. Rischia da uno a cinque anni.
I fatti risalgono all’estate. Lunedì 1° agosto un trentenne di Danta si era presentato nella caserma dei carabinieri di Santo Stefano, denunciando una rapina subita nella notte fra il sabato e la domenica precedente. L’uomo aveva raccontato che stava viaggiando a bordo della sua macchina lungo la statale 52 Carnica, che da Santo Stefano sale a Candide. Arrivato all’altezza di Campitello, si era accorto che l’auto alle sue spalle sfanalava con insistenza. L’uomo quindi ha accostato, pensando che si trattasse di un automobilista in difficoltà (questo ha raccontato ai militari due giorni dopo) e a quel punto era stato aggredito da tre malviventi, che lo avevano minacciato con un coltello e costretto a consegnare loro tutto il denaro che aveva in tasca. Circa cento euro. A quel punto i tre erano fuggiti, a bordo di una Bmw scura con targa rumena, lasciando l’uomo sotto shoc e senza soldi.
Un racconto che fin dall’inizio non aveva convinto del tutto i militari, che hanno comunque avviato le indagini. Non è stato trovato alcun riscontro agli elementi forniti dall’uomo: la targa dell’auto rumena, la dinamica dell’accaduto.
Il trentenne aveva anche detto di essere andato a denunciare il furto la notte stessa, ma in caserma nessuno gli aveva aperto dopo aver suonato il campanello. Anche questa una bugia, perché i campanelli delle caserme sono tutti collegati alla centrale operativa (di Cortina, in questo caso) e una semplice verifica ha dimostrato che quella notte nessun campanello era stato premuto.
I militari avevano anche chiesto all’uomo come mai non avesse chiamato subito il 112 e lui si era giustificato dicendo che aveva il telefono scarico. Anche questa affermazione è stata smentita dall’attività di indagine: è bastato controllare il traffico telefonico per verificare che il cellulare era attivo e funzionante. Messi assieme tutti gli elementi, i carabinieri hanno convocato l’uomo in caserma e lo hanno messo davanti ai fatti. Ottenendo subito una confessione quasi immediata.
Perché si sia inventato tutto non si sa. Lo dovrà spiegare durante il processo che subirà per simulazione di reato. Forse quella che avrebbe dovuto essere una innocente bugia, detta per questioni di natura personale, gli è sfuggita di mano, ma le conseguenze saranno pesanti.
«La storia che era stata raccontata lasciava ampi dubbi», spiega il comandante della compagnia di Cortina, il maggiore Cristiano Rocchi, «ma abbiamo fatto le necessarie indagini e ricostruito tutti i movimenti della persona in quella serata. In caserma ha ceduto quasi subito».
I carabinieri sono soddisfatti di aver portato a termine l’operazione anche perché in Comelico la vicenda era stata vissuta con una certa ansia: «Il nostro compito è anche quello di sgonfiare l’allarme sociale. Direi che il Comelico può stare tranquillo».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi