La specialità interregionale
Letta lancia l’idea della «specialità interregionale» e il presidente del Veneto Giancarlo Galan abbandona la richiesta dell’abolizione delle Regioni a statuto speciale che era stata finora un suo cavallo di battaglia. Le due cose sono connesse, tant’è vero che la proposta Letta, a nome del governo, non solo era stata elaborata attraverso un lungo lavorìo tra Belluno, Trento, Bolzano e Roma, ma arriva il giorno stesso del referendum di Asiago. Il risultato, prevedibile e previsto, del voto dell’Altopiano segna in realtà un punto di non ritorno: se Lamon era stato il segnale e Cortina il detonatore, Asiago è ora la conferma che si tratta di una tendenza irreversibile. Non è una «fuga» verso il Trentino, è una «frana». Frana la montagna, franano cioè i territori più deboli che hanno perso coesione e forse fiducia nel futuro. Nei quali la crisi della coesione assume sembianze diverse, con il riemergere talvolta di antiche identità storiche, ma che non è semplicemente riconducibile a una questione di «schei». La novità contenuta nella proposta Letta è in ogni caso sostanziale. La «specialità interregionale» prevede che vengano individuati tra Trento, Bolzano e Belluno (o Vicenza, cioè Asiago) progetti di cooperazione da finanziare con risorse aggiuntive da un lato dalle Province autonome, dall’altro dallo Stato.
E’ un marchingegno concordato che comunque non sostituisce né supera il federalismo fiscale, che rimane l’orizzonte entro cui ci si muove ma che è un’altra cosa. La proposta di Letta, che ieri ha raccolto anche il «benvenuto» di Galan, mette comunque un paletto fisso anche in prospettiva del federalismo fiscale, principio che, se applicato rigidamente, riproporrebbe per questi territori”deboli” sperequazioni analoghe a quelle esistenti. E’ piuttosto il cercare di correre ai ripari prima che sia troppo tardi, prima che la frana diventi generale e finisca per mettere in crisi da un lato la coesione interna al Veneto, dall’altro le autonomie speciali. Se va avanti così - è il ragionamento - rischierà di venir meno in un futuro non troppo lontano la legittimazione delle regioni a statuto speciale, riproponendo tensioni storiche: meglio dunque mettere un argine, costruire un meccanismo nuovo capace di lenire le ferite di una disparità di trattamento tra territori confinanti percepita come un’ingiustizia. Basterà? Sarà in grado di fermare la Grande Fuga salvando nel contempo le autonomie speciali oppure è troppo tardi e si chiude la porta della stalla quando i buoi sono scappati? Dipenderà molto dall’efficacia e anche dalla velocità della «ricetta Letta».
Sapendo però che la «frana» è stata messa in moto dall’acuirsi della crisi sociale della montagna che non è riconducibile solo a una questione di soldi, anche se questi pesano eccome. Perché dietro tutto questo c’è anche un senso di spaesamento e di espropriazione, di sfruttamento delle risorse della montagna da parte delle aree di pianura senza contropartite, e una montagna vista dalle aree urbane come serbatoio di risorse e parco da week end e mordi e fuggi. Un meccanismo che un tempo forse reggeva ma che oggi regge sempre meno. La proposta Letta, allora, è una prima risposta, che non a caso vede tutti d’accordo. Ma è appunto una prima risposta, le altre si chiamano federalismo fiscale, nuovo Codice delle autonomie locali al quale sta lavorando il ministro Linda Lanzillotta, e anche, nel Veneto, ridefinizione dei rapporti tra Regione e Province.
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