La vernice della Galvalux conquista l’alta moda: «Ora ci piacerebbe tornare all’occhiale»

L’impresa cadorina ha iniziato a diversificare la propria produzione nel 2008 e la scelta si è rivelata vincente. Con gli anni si è specializzata nella colorazione degli accessori del lusso: «La nostra qualità ha fatto la differenza»

PIEVE DI CADORE

Dall’estrema periferia è possibile lavorare, con profitto, per i ricchi del mondo. Nel delicato settore dell’alta moda. Ma facendo anche di necessità virtù.

La Galvalux di Pieve di Cadore – perché è di questa azienda che stiamo parlando – ritornerà nel settore dell’occhialeria, recuperando lavorazioni che si facevano in Cina. Una sfida, dunque, a tutto campo alla pandemia, come quella che racconta Angelo De Polo, il presidente.

Il 2020 è stato anche per voi un annus horribilis. Eppure avete distribuito i pochi margini che vi erano rimasti ai 110 collaboratori: 350 euro di buoni spesa, da spendere in alcuni market del Cadore, e 1000 euro di premio di produzione. Perché?

«Il personale è la nostra risorsa più importante. L’anno scorso abbiamo utilizzato un po’ di cassa integrazione per trattenerci queste professionalità. I nostri collaboratori si sono sacrificati e noi doverosamente li abbiamo ripagati».

Tra le prossime misure di sostegno del Governo ci sarà la cassa integrazione sino a fine anno e il blocco dei licenziamenti fino a giugno.

«Io credo che bloccare i licenziamenti significa impedire lo sviluppo aziendale. Anche se è impensabile abbandonare le persone al loro destino. Sono convinto che ci saranno delle fuoriuscite, ma non clamorose considerando la ripresa industriale».

Come si è evoluta la sua azienda in questi anni?

«È nata nel settore dell’occhialeria, ma quando l’occhialeria nel 2008-2009 è andata in crisi, ha diversificato la produzione. Oggi, sul nostro fatturato l’occhialeria incide attorno al 10%, il grosso noi lo facciamo nel comparto della moda, degli accessori metallici che vanno sulle pelletterie dell’alta moda».

Come avete conquistato questa nicchia di mercato così particolare? E da Pieve di Cadore, quindi dall’estrema periferia rispetto a Parigi, Milano, Firenze.

«Fino al 2010 questo settore non ha mai usato il colore, le vernici. Abbiamo creato un centro di ricerca e sviluppo che è anche laboratorio di certificazione di qualità. Da qui siamo partiti. L’alta moda pretende che ogni suo pezzo sia analizzato e certificato. E la nostra azienda questo l’ha garantito. Solo dando a questo mondo la sicurezza che anche la verniciatura può offrire alti standard qualitativi, ci siamo garantiti gli spazi di mercato su cui oggi contiamo».

Un’industria resiliente, la vostra, ma potremmo dire anche pionieristica in fatto di transizione ecologica, come oggi pretende l’Europa.

«Attenzione, a noi vengono a farci gli audit due volte all’anno, i nostri committenti non scherzano. Abbiamo puntato molto sulla sostenibilità che è una parola facile da dire ma poi c’è da investire».

Avete appena concluso un grosso investimento.

«Sì, nell’ultimo ampliamento aziendale abbiamo investito 6 milioni, 2 milioni sulle energie alternative, i pannelli solari per 220 kw, la cogenerazione per 250 kw. Poi abbiamo messo le risorse sugli impianti di depurazione dell’acqua perché siamo in un territorio che dovrebbe diventare proprio il simbolo della sostenibilità per poter essere di nuovo turistico e ricettivo sotto quell’aspetto e poi anche sulla pulizia dell’aria con recuperatori di calore d’aria. Da tutta l’aria che buttiamo fuori noi recuperiamo l’80% del calore che passa per i filtri di depurazione».

Come dire che, in un territorio protetto dall’Unesco, ci possono stare anche le attività industriali. Addirittura medie industrie da 110 collaboratori come la vostra, con un fatturato che punta ai 20 milioni. Il covid, però, l’avete patito anche voi.

«Abbiamo avuto anni di crescita continua, +20%, +30% ma nel 2020 per il Covid, questa crescita si è fermata e anzi abbiamo diminuito il fatturato di un 30% circa».

State recuperando?

«Il trend di questi primi mesi è simile a quello del 2020, ma le proiezioni dicono che tutto dovrebbe ritornare come il 2019 che aveva registrato un più 40%. Noi come azienda non siamo in sofferenza, ma in territorio positivo».

La pandemia ha davvero cambiato i consumi.

«Se la gente non può girare fa anche fatica ad andare a comprare, perché sappiamo benissimo che l’accessorio di alta moda, e noi lavoriamo per tutte le firme più importanti al mondo, è una cosa che viene comprata nelle città d’arte, a Venezia, Firenze, Roma, Parigi, Milano. Difficilmente una signora si compra una borsa da 3 mila euro se deve stare a casa in pigiama».

La ripresa quando arriverà?

«La Cina è ripartita, anche il Giappone e la Corea. Stanno ripartendo gli Stati Uniti e, in parte, la Russia. È un po’ l’Europa quella ferma. Non tutto, ovviamente, sarà come prima. Oggi si aspettano le sfilate, nessuno fa magazzino; vogliono vedere le reazioni del pubblico. C’è stato un risparmio impressionante in questi due anni e appena potremo muoverci qualche piccolo capriccio ce lo permetteremo».

Pieve di Cadore, dunque, asseconda i capricci dei ricchi. Bella soddisfazione.

«I ricchi nel mondo sono ancora tanti. Noi stiamo facendo veramente alta, alta moda, lavoriamo per le firme più importanti. Ma qualcosa cambierà anche per l’occhialeria».

L’industria dell’occhiale è attraversata ancora da difficoltà.

«Noi però stiamo osservando importanti segnali di ritorno. Il grosso dell’occhialeria era andato in Cina. Stiamo ricevendo significative richieste di avere aziende di riferimento territoriali con qualità e servizio, con controlli di qualità».

La vostra risposta?

«Stiamo pensando di tornare nell’occhialeria, comparto che avevamo frequentato per 30 anni».

Come riuscite a resistere nonostante i tanti, troppi problemi infrastrutturali del Cadore?

«Noi, per lavorare in questo mondo, abbiamo un servizio giornaliero con tre furgoni, due girano in Toscana e uno di notte va su e giù per portare le nostre cose. È ovvio che le strade, come sono adesso, con otto cantieri da Ponte nelle Alpi a Pieve di Cadore, non ci aiutano. Non è pensabile che i turisti facciano 3 ore di coda per andare a casa la domenica o 3 ore per venire su. Poi si stufano e vanno in altri posti. Ma, attenzione, gli interventi infrastrutturali che chiediamo non devono essere impattanti». —


 

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