La viticoltura feltrina spicca il volo a Vinitaly

Eccellente riscontro per le etichette del consorzio guidato da Enzo Guarnieri I cinque produttori mettono insieme la qualità a una quantità crescente

FELTRE. Chi apprezza, poi compra. Dal Vinitaly passa l’economia del vino (e non solo), che lancia l’ambizione del consorzio Coste del Feltrino, pronto a chiedere una doc. Protagonisti al più prestigioso evento del panorama vitivinicolo nazionale cinque viticoltori del sodalizio presieduto da Enzo Guarnieri. Nell’ambito dell’incontro organizzato da Confagricoltura Veneto per promuovere la rinascita della viticoltura Feltrina e Bellunese erano presenti l’azienda agricola Bonan Marco con il “Pustern” Pinot Bianco rifermentato sui lieviti, Guarnieri Enzo con “l’Ombra del Cin” (un bianco Igt Vigneti delle Dolomiti Manzoni-Traminer), l’azienda De Bacco con il “Vanduja” Pavana in purezza Igt Vigneti delle Dolomiti, l’azienda Pian delle Vette con il “Granpasso” Igt Veneto Teroldego e la Tenuta Croda Rossa con lo spumante charmat “Derù” da uve Solaris.

Tutti i vini sono stati degustati in abbinamento con il formaggio Piave Oro dop grazie all’intervento della Confraternita del Piave. Negli ultimi anni la vocazione alla viticoltura locale sta rinascendo dopo essersi quasi persa. Il bellunese infatti è stato terra di grande produzione di vino, soprattutto il Feltrino, fino alla prima metà del Novecento, con 80 mila ettolitri annui, un patrimonio disperso a causa della guerra e della filossera che avevano decimato tutto. Enzo Guarnieri ha acquisito un vigneto da un prozio che si chiamava Angelo detto Cin. Di qui il nome del vino Ombra del Cin: «Il colle ha una ventilazione eccezionale per tutta l’estate, che favorisce una maturazione ottimale dell’uva», racconta. «Ho scelto di unire due varietà diverse con l’obiettivo di dimostrare che nella nostra zona si possono realizzare vini aromatici e con gradazione alcolica a standard elevato».

Marco De Bacco, dell’omonima azienda agricola che produce il Vanduja Rosso, ha ereditato dai nonni un vigneto del 1929, dove si trovavano già tutte le varietà autoctone della zona: «Ho iniziato dieci anni fa a far rinascere un vigneto dimenticato, per pura passione», dice. «Ho voluto crederci quando gli altri non avrebbero scommesso un euro. Ora la passione è diventata un lavoro». Ha ereditato i vigneti dai nonni anche Egidio D’Incà, che produce il Granpasso: «Nel Duemila ho reimpiantato le vigne e oggi sono arrivato a produrre 12 mila bottiglie, vincendo anche premi importanti», sottolinea. «La redditività deve ancora arrivare, dobbiamo riuscire a farci conoscere anche oltre le montagne bellunesi».

Marco Bonan, dell’azienda che produce il Pustern, spiega che il suo vigneto «è in un posto che non vede mai il sole d’inverno. Il Pustern, vino spumantizzato, è una scommessa riuscita». Infine Paolo Rimini, tenuta Croda Rossa, ha dieci ettari alle pendici delle Prealpi, e il Derù fa parte dei vigneti resistenti risultato dell’incrocio tra la vite europea e quella americana di nuova generazione, in grado di difendersi da soli dai parassiti senza l’utilizzo della chimica.

Dal presidente di Confagricoltura Belluno Diego Donazzolo arriva l’auspicio che «dal Vinitaly parta la fortuna dei viticoltori e che ognuno riesca a crearsi una propria nicchia sul mercato», mentre Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto, sottolinea che «questi vini bellunesi danno emozioni, che sono ciò che il consumatore cerca. Sono anche biologici e sostenibili, quindi già nel futuro della viticoltura».

Raffaele Scottini



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