«L’accoglienza in quota ha dei limiti»: il Cai sprona a tutelare le terre alte

Il presidente regionale, Renato Frigo, invoca più consapevolezza ambientale e difende la Fondazione Unesco



«Prendersi cura della montagna» è la raccomandazione del Club alpino italiano e in particolare della commissione Tam (Tutela ambiente montano) che ha convocato ieri a Vittorio Veneto e oggi in Cansiglio i suoi uomini (e donne) per interrogarsi su come una disgrazia tipo Vaia possa diventare un’opportunità di sviluppo.

Tra i tanti relatori ha parlato anche Renato Frigo, presidente regionale del Cai, il quale ha spiegato come, invece, non ci si prende cura delle terre alte. Auspicare, ad esempio, che sulle Dolomiti arrivino “vagonate di turisti”, magari in autostrada piuttosto che con il treno elettrico, non fa il bene della montagna, ha detto.

Perché? «Perché l’accoglienza ha i suoi limiti. Lo dimostra la frequenza eccessiva, in determinati periodi dell’anno, sia dei passi che di taluni itinerari escursionistici, perfino di determinate ferrate. Ma soprattutto di località come Cortina, con code inquinanti per lunghe ore».

Bisogna che nell’approccio si ritrovi l’equilibrio. E questo non è difficile da individuare se – afferma Frigo – i politici, i pubblici amministratori, accettano il confronto dialogico con il Cai, contro il resto dell’associazionismo e del volontariato. «Noi non vogliamo il muro contro muro, che ha dimostrato di non dare esiti positivi. Siamo disposti ad interloquire costruttivamente, ma partendo da talune consapevolezze».

Quanto alle infrastrutture, ad esempio, la prosecuzione dell’autostrada Venezia Monaco è davvero improponibile. Non aiuta di sicuro le comunità della Provincia, tanto meno le Dolomiti in quanto tali. È semmai un bypass. Chi teme l’affollamento del Brennero, farà la Venezia Monaco, ma non per fermarsi a Cortina piuttosto che a Belluno.

I Mondiali di sci e le Olimpiadi? Il popolo dell’alta montagna non è contrario, anzi. Però, fa capire il presidente del Cai, questi ed altri eventi non devono essere colti nell’accezione del business, soprattutto se mercantile. E così ragionando Frigo finisce per intrattenersi sulle Dolomiti Unesco.

È presente anche Cesare Lasen, che fa parte della governance scientifica della Fondazione. E che, nella sua relazione al convegno, ha un pizzico d’ironia nel confrontare le Dolomiti patrimonio dell’Umanità alle Colline del Prosecco, anch’esse tutelate dall’Unesco. Parliamo di due entità ben diverse, si limita a far intendere Lasen.

Bene, Frigo va oltre e osserva che la Fondazione, «al di là dei limiti che evidenzia», è troppo soggetta ad attacchi, «sia da destra ma anche da sinistra».

Viene presentata come uno strumento vuoto – dice – ma tale rischia di esserlo (e non lo è) solo perché c’è chi vuol tenerla svuotata. Eppure – afferma il presidente del Club alpino veneto – «è l’unico strumento che parla seriamente di montagna» e che potrebbe autorevolmente orientare le politiche per le terre alte.

A questo punto è inevitabile alzare il tiro dell’opposizione a tutto e a tutti? «Il Cai ritiene che la mera contrapposizione non sia produttiva. Dire sempre no», insiste Frigo, «non fa il bene della montagna». Bisogna costruire alleanze, e da qui partire.

All’ingresso della sala del convegno si vendono borracce per portarsi appresso l’acqua, anziché usare le bottiglie di plastica. Ci sono signore che si fanno perfino il selfie con la borraccia ambientalista.

Frigo applaude, ma coglie la circostanza per suggerire, anzi raccomandare che in montagna non si vada solo attrezzati di questo contenitore, ma anche di una scatola per i rifiuti. Rifiuti da portare e smaltire rigorosamente a casa, anziché abbandonarli in qualche cestino dolomitico, semmai ci fosse.

Anzi, suggerisce qualcuno dalla sala, togliamo i cestini dai rifugi ed educhiamo almeno i nostri tesserati a riportarsi appresso le loro immondizie.

E questo è uno dei passaggi anche del decalogo proposto all’attenzione dei convegnisti da Filippo Di Donato, presidente nazionale della commissione Tam Cai, il quale ha ricordato che le sfide ambientali sono connaturali alla vita dell’alpinista che aderisce ad un movimento come il Club alpino. Non tutti i tesserati, però, ne sono consapevoli. —


 

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