L'agricoltura regge alla crisi e la Cia lancia una tregua: «Dobbiamo cooperare»

Il Censimento veneto 2010 del settore fotografa il settore Alpagotti: «I nostri giovani hanno accettato la sfida»
Un trattore all’opera sui campi
Un trattore all’opera sui campi
BELLUNO.
L'agricoltura in provincia di Belluno tiene la crisi, anche se conta qualche "vittima" sul campo.  La fotografia non troppo critica del settore primario nel Bellunese emerge dal Censimento veneto 2010 del comparto, presentato ieri a Venezia dall'assessore Franco Manzato. Per Belluno si parla di una contrazione pari al 13% della superficie agricola utilizzata, con una flessione del numero di aziende del 64.5% dal 2000 al 2010. Tale consistente contrazione ha permesso però l'aumento relativo alla superficie agricola media utilizzata, che per il Bellunese è pari a 20 ettari per azienda (la maggiore in Veneto, anche in virtù della specializzazione produttiva, che privilegia le grandi estensioni a prati e pascoli). In 10 anni diminuite del 90,5% anche le imprese del settore viticolo.  Nel quadro regionale, la realtà che va meglio a livello agricolo è il Veronese, che detiene un quinto della superficie agricola utilizzata, seguita da Padova (16.8%) e Treviso (15.8%).  «Resistiamo in situazione di crisi», commenta il direttore della Cia, Mauro Alpagotti, che parla della necessità di fare un distinguo: «Ci sono zone in cui l'agricoltura è pressochè scomparsa, come il Cadore, mentre in altre, come la Valbelluna, si sta rafforzando grazie anche all'avvio di aziende gestite da giovani. Aziende non più tradizionali, ma multifunzionali, con coltivazioni originali per la nostra terra, come le frutticole piuttosto che le orticole. Queste aziende fanno anche agriturismo. Queste situazioni, impensabili per il nostro territorio fino a qualche tempo fa, sono venute avanti proprio grazie alla crisi».  Il direttore della Cia non nasconde però il problema di fondo: «Abbiamo prodotti di qualità che potrebbero essere il valore aggiunto di questa terra, se solo si usasse il buon senso e si pensasse a cooperare, creando delle cooperative. La cooperazione funziona nel comparto del latte, perchè non esportare il modello anche per altri settori? Se riusciremo a lavorare bene e uniti, potremmo superare il disagio fisico rappresentato dalla montagna e vendere bene il nostro territorio. Una cosa del genere si sta già facendo coi formaggi e coi prodotti di nicchia. Ma ci sono prodotti che, come il fagiolo di Lamon, risentono della crisi, perchè gestiti in maniera hobbistica, non professionale. Servirebbero strutture adeguate per commercializzare e per fare marketing dei nostri prodotti, dando così quella marcia in più all'agricoltura bellunese, che con i suoi giovani è pronta ad accettare la sfida, rilanciando la posta. L'importante», conclude Alpagotti, riferendosi anche alle divisioni interne tra sindacati di categoria, «è superare la volontà di gareggiare per vedere chi arriva penultimo».

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