L’allevamento in montagna sotto la lente dei giovanissimi

Livinallongo, gli alunni della media hanno realizzato una ricerca intervistando gli addetti ai lavori «In pianura stalle efficienti e moderne, ma dove gli animali sono costretti ad una vita innaturale»

di Lorenzo Soratroi

LIVINALLONGO

Che senso ha (se realmente ancora ce l’ha... )fare l'allevatore nel terzo millennio?

Questa la domanda dalla quale ha preso le mosse una ricerca realizzata da ragazzi della classe terza D della scuola media di Livinallongo. Il lavoro, seguito dalla professoressa Grazia De Bartolo, è iniziato nell’autunno scorso, in occasione della tradizionale fiera della razza Bruna Alpina, che si tiene ogni anno ad Arabba.

«E' stata una fiera-mostra molto partecipata e da questo si capiva che è un evento molto importante per la popolazione locale e gli allevatori stessi, che in questa occasione mostrano la qualità del loro lavoro e la loro importanza», spiegano.

«Abbiamo approfittato della presenza di molte autorità del settore ( i presidenti dell'Associazione allevatori bellunesi, Gianfranco De Bona e della Coldiretti, Silvano Dal Paos, il sindaco, Ugo Ruaz ) ed addetti del cosiddetto “indotto” (pastori, fecondatori) per fare loro alcune interviste. «La maggior parte degli allevatori ha risposto che hanno intenzione di continuare a fare il loro lavoro così come ora, incuranti di quelle che sono le difficoltà contingenti e specifiche dell’operare in un territorio difficile cone l’Alto Agordino. Altri vogliono invece aggiungere l'agriturismo, in modo da cercare di incrementare degli utili che oggi sono piuttosto difficili da ottenere. I più giovani, invece, hanno intenzione di costruire una nuova stalla. A questo punto abbiamo capito che questo lavoro deve pur avere dei vantaggi, altrimenti gli allevatori non continuerebbero con l'intensità e la voglia che hanno adesso: autonomia nell'organizzazione del lavoro, lavorare con e vicino alla famiglia, stare all'aria aperta e in un ambiente sano e stabilire un legame affettivo con gli animali. Ci siamo ricordati di una visita che abbiamo fatto presso un allevamento in pianura che era dotato di una stalla moderna e molto efficiente, dove però le bestie sono costrette ad una vita innaturale e non c’è alcun rapporto tra mucca e allevatore».

«Ma è giusto», si sono chiesti i ragazzi autori della ricerca, «continuare a perseguire l’obiettivo di meccanizzare sempre più la stalla perdendo il rapporto diretto e affettivo con le bestie?»

Nella loro ricerca i ragazzi hanno rilevato che «il 50% circa degli allevatori della Fiera ha un età compresa tra i trenta e i cinquant'anni. Il resto superiore. Ma in molti casi i più anziani sono parenti o vicini di casa dei più giovani e questo garantisce continuità nella competenza del settore, cioè nel cosiddetto know how del lavoro. Tutti gli allevatori hanno comunque una famiglia che aiuta e alla quale trasmetteranno a loro volta le tradizioni e il mestiere di allevatore».

La ricerca è proseguita poi con la visita alla locale latteria di Renaz. Con gli allevatori hanno parlato delle quote latte, dei costi dell’agricoltura in montagna, degli incentivi che mancano e le difficoltà di finanziamento delle attività agricole. Hanno così concluso che il mestiere di contadino oggi presuppone grandi conoscenze ed esperienza per muoversi nei vari settori che la sua attività coinvolge. «Ma allora», è stata la conclusione,«perché spesso la gente, se un giovane come noi esprime la propria intenzione di lavorare in questo settore, pensa che sia un lavoro da ignoranti e socialmente dequalificante»?

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