L’amica d’infanzia: «Eravamo spensierate»

Affetto, commozione e un disperato bisogno di verità nelle parole di amici e familiari di Rossella

SAN VITO AL TAGLIAMENTO. La sanvitese Roberta Garlatti nell’estate del 1975 aveva scattato una fotografia a Rossella Corazzin: erano in vacanza insieme, a Forni di Sopra. Un giorno le aveva scattato quella foto: Rossella aveva una maglia chiara, la testa leggermente chinata e la mano appoggiata a un albero. È stata l’ultima immagine della diciassettenne sanvitese, attraverso cui l’intera Italia ha conosciuto la sua storia tragica.

Ieri Roberta Garlatti teneva lo striscione contro la violenza delle donne e in ricordo di Rossella Corazzin. Dietro lo striscione i familiari. La zia Giuseppina arrivata da Tai di Cadore con il genero non ha voluto mancare. «Sono la parente più stretta» ha detto, «e volevo essere qui». Cosa prova in questi momenti è indescrivibile: «Non si può dire» afferma, «rabbia e dolore e non so cosa gli farei» ai presunti responsabili di quanto avvenuto. Ricorda la nipote «una ragazza semplice, molto tranquilla veniva qualche volta da noi a casa. Mia sorella ha sempre sperato che tornasse a casa, non si è mai rassegnata».

I familiari chiedono verità e giustizia, ma negli ultimi giorni sono stati anche travolti dalle dichiarazioni agghiaccianti di Angelo Izzo: «È una cosa più grande di noi» afferma la cugina, Isabella De Nardo, «chiediamo adesso la verità, ma non ci sembra ancora vero, ci stiamo storditi».

L’amica Roberta Garlatti frequentava la prima liceo classico a Pordenone con Rossella e aveva trascorso con lei qualche settimana prima una vacanza a Forni di Sopra, dove aveva scattato l’ultima fotografia. «Era una persona riservata e molto buona» afferma, «Eravamo ragazzi spensierati, a cui piaceva leggere, stare in compagnia. Anche lei aveva i suoi sogni, era una ragazza solare. Era protetta dai genitori, ma allora non si pensava che ci potessero essere grossi pericoli». «Era straziante» prosegue, «vedere la madre che non si è mai arresa, parlava sempre come se Rossella dovesse tornare. Ogni anno al compleanno le comprava una rosa rossa che le lasciava sul letto e teneva sempre la porta di casa aperta, nel caso in cui Rossella dovesse rientrare».

Luciana Bagnarol ricorda «che la mamma ha vissuto negli anni successivi con la speranza di ritrovare la figlia».

Dai ricordi delle amiche emerge che Rossella «era una brava ragazza, non aveva problemi, una persona da cui non ti aspettavi certamente un colpo di testa». Andava bene a scuola e coltivava i sogni di una diciassettenne. E per questo la sua scomparsa aveva subito fatto temere qualcosa di grave. Immaginavano tutti che si fosse persa in montagna, che fosse magari caduta in un dirupo, anche se poi ci si è fermati a quella panchina di Tai di Cadore, punto di partenza di un mistero lungo 43 anni su cui Angelo Izzo ha detto una sua verità, ma non è ancora detto che sia quella vera. Il suo racconto, però, ha riallargato una ferita che non si era mai chiusa: «Non potevamo certo immaginare una cosa del genere» sottolinea GarlattI, «è troppo». (d.s.)

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