L'appello del vescovo: accoglienza prima di tutto
SANTA GIUSTINA. L'accoglienza prima di tutto. Del povero, dell'emarginato, del sofferente, e ovviamente anche dell'immigrato. Le porte della carità cristiana devono restare spalancate di fronte a emergenze come quella dei profughi africani e mediorientali, che ogni giorno arrivano a centinaia sulle nostre terre, in cerca di pace e giustizia, ma prima ancora di umana accoglienza.
Non è semplice prendere una posizione senza essere bersagliati dalle critiche. Il vescovo dimissionario Giuseppe Andrich ci prova lo stesso: «La Chiesa oggi è vista attraverso uno stereotipo: di non essere fondata sull'ospitalità e di non dare una risposta realistica all'emergenza profughi. Ricordo però che la Diocesi di Belluno e Feltre ha ospitato molti profughi nelle sue strutture, come il Ceis e la Caritas. Anche noi, nel nostro piccolo, percepiamo i problemi mondiali e sentiamo la necessità di portare rispetto e manifestare accoglienza verso le persone fisiche. Non dobbiamo chiuderci davanti alla povertà e alla sofferenza e nemmeno nasconderci alle difficoltà».
Le politiche dell'accoglienza però sono su un altro livello: «Non siamo competenti in materia, non possiamo prevaricare i ruoli degli altri enti, che vanno comunque rispettati. Questo problema va studiato con realismo. Abbiamo fatto passi interessanti e promettenti sull'ospitalità diffusa», afferma il monsignore, «e questa è andata di pari passo anche con gli aspetti naturalistici».
A proposito di Enciclica sull'ambiente. Cesare Lasen, presidente della commissione diocesana dell'ufficio per la Cultura e gli Stili di vita in montagna, si permette un sollecito: «L'ecologia si associa facilmente all'etica, all'ecumenismo, all'economia. La questione della salvaguardia del creato non può prescindere dai problemi sociali. La Chiesa dovrebbe attivarsi per risolvere il problema alla radice. Il Papa con le sue parole ci sta dicendo che è nostro compito e dovere aiutare il prossimo a superare l'emergenza. Vanno per questo inevitabilmente studiate posizioni di tipo politico. Certo è che l'accoglienza, per essere tale, deve venire prima dal cuore».
Don Luigi Canal, direttore del Centro missionario e membro della commissione, non può esimersi dal fare un'osservazione di tipo sociale: «Il problema è essere riconosciuto cittadino italiano. Se il superamento della clandestinità avvenisse più rapidamente, sarebbe più semplice inserire queste persone non solo dal punto di vista sociale, ma anche legale e quindi lavorativo. Sarebbe perciò più facile assorbirle».
Francesca Valente
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