L’appello di Palazzo Piloni «Più chiarezza nelle norme»
belluno
Le derivazioni che insistono su corpi idrici il cui stato biologico è classificato come “elevato”, non si possono concedere e, se l’impatto della derivazione è alto o moderato, vale la stessa regola anche nei corpi idrici classificati come “buoni”. In provincia di Belluno tutti.
La Direttiva Derivazioni, emanata dall’Autorità di bacino delle Alpi orientali a marzo potrebbe risolvere definitivamente il problema del proliferare delle centraline idroelettriche, ma nulla è mai così semplice. Lo ha evidenziato l’ente Provincia approvando una delibera specifica durante il consiglio di martedì, con la quale si chiede di mettere ordine alle norme in materia.
A spiegare le premesse è il consigliere delegato al demanio idrico, Pier Luigi Svaluto Ferro, che ha proposto la delibera stessa: «In Italia abbiamo diverse leggi in materia e anche l’Europa ha emanato delle direttive, non ancora del tutto recepite. L’ultimo provvedimento è la Direttiva Derivazioni della nostra Autorità di bacino, che però presenta alcuni elementi di incertezza, oltre al fatto che altre Autorità di bacino hanno dato disposizioni differenti».
In sostanza la Direttiva che vale per il bellunese, chiude le porte alla realizzazione di nuovi impianti, a partire dal primo luglio, perché considera, automaticamente e a prescindere dal progetto, “alta” la classe di rischio di qualsiasi impianto realizzato nei corsi d’acqua con qualità biologica elevata. Situazione analoga per i corsi d’acqua classificati come buoni e in provincia di Belluno tutti i corsi d’acqua rientrano nelle due classificazioni biologiche. Il dubbio quindi non dovrebbe sorgere, ma le cose non sono così chiare e soprattutto si pone il problema per le domande già presentate.
«Le domande giacenti», ricorda Svaluto, «sono 94. La maggior parte di esse ha ottenuto la concessione idraulica e attende l’autorizzazione unica a costruire l’impianto, per la quale servono o la valutazione di impatto ambientale o di compatibilità ambientale. La Direttiva non è chiara, o meglio impone una serie di indagini ambientali con attività di studio e valutazione altamente complesse, che richiedono professionalità e competenze specifiche che la Provincia non ha».
L’ufficio competente di Palazzo Piloni, infatti, conta quattro dipendenti più un dirigente, che è personalmente responsabile di tutto ciò che firma e i contenziosi nell’ambito dell’idroelettrico sono una certezza, sia da parte delle ditte che presentano progetti di sfruttamento dei corsi d’acqua, che da parte delle associazioni ambientaliste.
«La Provincia è tra l’incudine e il martello», prosegue Svaluto, «e non può prendere decisioni politiche, quindi sull’ufficio viene scaricata l’intera responsabilità di scelte che non hanno una normativa coerente di riferimento. Dal punto di vista amministrativo, chi deve autorizzare sta cercando di tutelarsi e questo significa inevitabilmente che i procedimenti vanno avanti lentamente. La conseguenza è che cominciano ad arrivare le diffide».
L’unica soluzione a tutto questo è che il ministero dell’Ambiente e la Regione si siedano ad un tavolo e decidano di mettere ordine alla materia ed è proprio quello che chiede Palazzo Piloni.
«L’Europa coltiva l’ambiguità», conclude l’assessore. «Da un lato la direttiva acque è restrittiva al massimo escludendo lo sfruttamento, dall’altro la direttiva sulla riduzione delle emissioni in atmosfera favorisce lo sfruttamento idroelettrico». —
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