L’Aquila reclama gli atti del Vajont: beffa al territorio, Belluno si muova

I 256 faldoni del processo sono conservati all’Archivio di Stato. Qui sono stati digitalizzati, ma ora l’Abruzzo li chiede indietro: scatta la battaglia per la memoria
Marcella Corrà
I faldoni con gli atti relativi al processo del Vajont sono attualmente conservati all’Archivio di Stato di Belluno
I faldoni con gli atti relativi al processo del Vajont sono attualmente conservati all’Archivio di Stato di Belluno

Sei scaffali mobili, montati su guide di scorrimento, subito dopo quelli che ospitano le mappe napoleoniche, in fondo a un corridoio al primo piano dell’Archivio di Stato. Qui sono contenuti i 256 faldoni degli atti processuali del Vajont: documenti sequestrati alla Sade e in tutti gli uffici interessati dalla costruzione della diga, perizie, dati tecnici, relazioni, interrogatori, profili delle vittime, le loro foto e le relazioni sul loro riconoscimento.

E le sentenze, quella istruttoria del giudice Mario Fabbri, quella di primo grado pronunciata a L’Aquila nel 1969 e quella di secondo grado, della Corte di Appello de L’Aquila un anno dopo. Mancano i documenti del processo in Cassazione, che si trovano a Roma: c’è solo una copia della sentenza definitiva sul Vajont. Il documento è datato 1971.

Insieme ai documenti cartacei, a L’Aquila erano conservati anche altri oggetti, come il modellino fatto realizzare da Fabbri, della valle del Vajont prima e dopo il disastro, che è stato restaurato e si trova all’Archivio di Belluno, o come i carotaggi, lunghi tubi di metallo che contengono le rocce che sono servite per le tante perizie sui versanti del Toc. E come i tracciati sismografici che raccontano le numerose scosse di terremoto, chiaro segnale dei movimenti della montagna, sempre più forti e sempre più frequenti man mano che ci si avvicinava al 9 ottobre 1963.

Tutto materiale arrivato a Belluno da L’Aquila in momenti diversi, ma la parte più importante, i documenti, sono stati inviati un anno dopo il terremoto del 2009. Il palazzo della Prefettura de L’Aquila è stato infatti gravemente danneggiato dalle scosse del 6 aprile: nella parte posteriore c’era l’Archivio di Stato che dopo qualche mese riaprì in un capannone alla periferia della città, dove tuttora si trova.

Nel dicembre del 2010 l’archivio del Vajont arrivò a Belluno, prima di tutto per dargli una collocazione più sicura, poi per continuare il progetto dell’inventario (erano due le archiviste a L’Aquila che se ne occupavano, una morì durante il terremoto) e per la digitalizzazione di tutto il materiale. E infine ma non ultima la necessità di procedere al restauro dei fascicoli danneggiati dalla rottura di un tubo di scarico, quando i faldoni erano ancora depositati negli scantinati del Tribunale abruzzese.

La convenzione alla base del trasferimento parlava chiaro: una volta completati tutti questi passaggi, l’Archivio del Vajont doveva tornare nella sua sede originale, all’Aquila. Dopo tre anni, il lavoro era più o meno concluso: manca un atto finale, cioè attivare una piattaforma dove inserire il materiale digitalizzato, in modo da consentire a chiunque, in qualunque parte del mondo, di poterlo consultare, senza bisogno di arrivare fino a Belluno e ancora meno fino all’Aquila. Progetto che potrebbe concludersi entro la fine dell’anno.

Il deposito dell’archivio a Belluno doveva durare tre anni, si è andati avanti di proroga in proroga per dieci anni, ma ormai non ci sono più i motivi legali e amministrativi per tenere qui le carte processuali del Vajont.

I motivi pratici forse non ci sono, ma quelli morali ed emozionali sì. Ed è solo su questi ultimi che possono puntare gli amministratori e i cittadini bellunesi per far cambiare un destino che sembra segnato.

Il ritorno delle carte processuali del Vajont a L’Aquila è stato chiesto in diversi momenti dai vertici dell’Archivio di Stato abruzzese. Nel 2019 la direttrice Daniela Nardecchia parlava di “atto gravissimo” in merito all’ipotesi che le carte potessero restare per sempre a Belluno. Aveva anche ricevuto assicurazioni dalla Direzione generale degli Archivi che i documenti sarebbero stati riconsegnati entro il 2021.

Di recente l’attuale direttrice è tornata alla carica chiedendo di nuovo che le carte tornino nella sede originale, lasciando quella provvisoria di Belluno. Che la sede da provvisoria diventi definitiva, a quanto pare, dipende solo dalla volontà dei bellunesi e dall’interesse del territorio, a partire in primo luogo dalle istituzioni.

Per ora le carte restano a Belluno in vista di una mostra che sarà allestita all’Archivio di Stato in occasione del 60esimo anniversario del Vajont, come era accaduto per il cinquantesimo. Una proroga di qualche mese, poi una decisione va assunta.

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