«L’aria in paese è cambiata, e in meglio»
CORTINA. Sono passati due mesi dal ritorno di Andrea Franceschi al suo ruolo di sindaco. Il bilancio che il primo cittadino fa è tutto sommato positivo. L'unica nota dolente riguarda la struttura comunale legata ai dipendenti che va avanti a fatica, con estrema lentezza, e con tante incertezze. Franceschi è tornato sindaco il 3 ottobre dopo 506 giorni di lontananza imposta dal Tribunale; un periodo in cui è stato prima agli arresti domiciliari e poi in esilio, in quanto indagato per turbativa d'asta, abuso d'ufficio e violenza privata.
«Questi primi due mesi li considero positivi», ammette, «ho trovato il gruppo di maggioranza ancora più compatto e unito di prima, un gruppo forte e con tanta voglia di lavorare per il bene del paese. Questa esperienza, che abbiamo vissuto tutti a livelli diversi, ci ha rafforzato, direi che ci fatto crescere e ci ha forgiati».
Cortina è come l'aveva lasciata?
«L'aria in paese è molto cambiata, in meglio», risponde Franceschi, «a parte qualche campione del mondo di negatività che è isolato ed è stato messo in minoranza, vedo che in paese c'è molta voglia di collaborare, di fare di più e di meglio. Non parlo di aspetti politici, ma mi riferisco proprio alla comunità. Ad esempio ho trovato al mio ritorno i commercianti uniti in un gruppo spontaneo, “Cortina for us”; sono stati capaci di coinvolgere tutto il paese nel progetto delle luminarie. Vedo la voglia di stare assieme, di fare qualcosa per Cortina, uniti, al di là di ogni polemica; e questo è davvero molto positivo per tutti».
Come ha trovato l'apparato comunale? Spesso nei mesi in cui lei è stato assente ci sono state lamentele sulla lentezza della macchina amministrativa, da parte anche di presidenti di categorie economiche locali. Che clima ha ritrovato in municipio?
«L'unica nota dolente di questi due mesi», dice Franceschi, «è inerente proprio la macchina comunale. C'è una minima parte del personale che lavora palesemente contro il gruppo di maggioranza, accampa scuse alle richieste, inventa problemi. Per fortuna questa è una minoranza. La maggioranza dei dipendenti vuole lavorare bene, ma è molto impaurita. Le continue denunce, le continue indagini, hanno terrorizzato il personale. Ad ogni domanda che viene fatta dalla giunta la prima risposta è sempre che non si può fare. In Italia non esiste la responsabilità del non fare; e, se non si fa, non si rischia nulla: quindi, per timore, si preferisce non fare, per evitare denunce, molto spesso anonime, che tuttavia per come sono scritte si capisce benissimo da chi provengono. Per vivere tranquilli i dipendenti preferiscono non rischiare per fare qualcosa. Quindi siamo noi amministratori che cerchiamo le soluzioni, confrontandoci con colleghi di altri Comuni che hanno messo in campo la stessa iniziativa, o chiedendo chiarimenti ad esperti di diritto amministrativo. Poi, una volta che spieghiamo ai dipendenti che altrove hanno fatto la stessa cosa, e gli diciamo come, o li rassicuriamo che si può fare, allora la pratica viene avviata. Io umanamente posso anche capire che i dipendenti abbiano paura, che vogliano evitare rogne: tuttavia il ruolo del sindaco non è quello di fare da baby sitter ai dipendenti. Stiamo cercando di uscire da questo clima di incertezza e di titubanza, ma i tempi si allungano su tutto, è tutto troppo lento e burocratizzato e i progetti faticano a partire. Un esempio concreto», conclude Franceschi, « nell'ultima giunta. Il Suem ci ha chiesto una sala pubblica per fare un incontro. La giunta ha dato parere favorevole. L'ufficio ci ha risposto che non si poteva dare la sala e che il il Suem doveva partecipare al bando per i contributi per ottenere lo spazio: cosa che francamente trovo incredibile...».
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